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Pur non essendo un cantautore della mia generazione, ho sempre amato molto Francesco Guccini. Sarà forse colpa di mio padre, che me lo faceva ascoltare durante i viaggi in auto, insieme a De Andrè, De Gregori e tanti altri della sua generazione. Una volta, a 13 anni, sono anche finita quasi per caso a un suo concerto, sempre in compagnia di mamma e papà, e credo sia stato da allora che ho cominciato ad ascoltarlo veramente. Ci sono sue canzoni che riescono a commuovermi ogni volta che le ascolto: "La Locomotiva" sicuramente, ma ancora di più "Cyrano" o "Don Chisciotte" (tutto l'album "Stagioni", da cui è tratto, è veramente ma veramente stupendo).
Conoscevo comunque già anche il Guccini scrittore, anche se ne ho un ricordo molto vago. Avevo letto, credo in prima o seconda superiore, "Macaronì", scritto con Loriano Macchiavelli, di cui però non saprei più parlare. Mi ricordo che mi era piaciuto, ma non sarei in grado di riassumere la trama.
"Dizionario delle cose perdute" mi conferma la bravura di Guccini anche come scrittore (d'altronde se scrivi canzoni che sono poesie, difficilmente il resto che scrivi può fare schifo). In questo libro, l'autore ci racconta una serie di aneddoti della sua giovinezza, prendendo spunto da oggetti, situazioni o luoghi del passato che ora non esistono più ma che invece hanno caratterizzato l'infanzia e l'adolescenza di chi è nato negli anni '40 e '50. Dall''arrivo del chewingum dagli USA alla penicillina e le siringhe tutt'altro che indolor. Dalla tortura della maglia di lana fatta dalla madre o dalla nonna (questa l'ho vissuta anche io, pur essendo mooolto più giovane) ai pantoloni al ginocchio anche d'inverno. Dalle prime sigarette (a quell'epoca era quasi obbligatorio fumare) che si vendevano anche sfuse ai liquori fatti in casa. Dall'avvento della tecnologia con il telefono alle prime auto (la Topolina amaranto di Paolo Conte, per intenderci). Dalla naia obbligatoria al cinema di terza e quarta visione. Dai treni a vapore (che secondo me erano comunque più veloci di quelli della linea Torino-Aosta) a tutta una serie di giochi semplici che intrattenevano i bambini quando la playstation non esisteva ancora.
Un dizionario di cose perdute appunto, di cose che si conservano solo nella memoria della generazione che le ha vissute.
Certo, è un libro che sicuramente colpisce di più le persone di quella generazione (e infatti mia mamma ha iniziato a leggere il libro di nascosto, per poi chiedermi se poteva leggerlo anche lei "ma solo quando l'hai finito tu eh"). Ma questo è normale, anche io ho ricordi di giochi o di oggetti della mia infanzia che se le raccontassi a un bambino di oggi mi guarderebbe come se fossi un alieno.
Ma finchè qualcuno le scriverà o le ricorderà, queste cose non si perderanno.
Molto carino!
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