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La trama (con parole mie): siamo a cavallo del confine tra States e Messico, nel periodo che va dalla Guerra di Secessione americana alla Rivoluzione messicana. Un ex soldato nordista, Django, vaga nella terra di nessuno che si contendono i ribelli latini guidati dal generale Rodriguez ed i bianchi razzisti agli ordini del maggiore Jackson portandosi dietro una bara dal contenuto segreto.Salvata una donna - prostituta di un saloon locale che ha tentato la fuga - il misterioso pistolero da inizio ad una vera e propria lotta che lo vede opposto prima a Jackson, dunque a Rodriguez e per finire di nuovo a Jackson: sulla sua strada sono destinati a cadere cadaveri come se piovesse.Ma per l'antieroe il destino sarà amaro, e la vittoria avrà un prezzo enorme per un ammazzacristiani dalla mano rapida come lui.
Recentemente portato alla ribalta dalla versione unchained firmata Tarantino - se non l'avete ancora visto, fatelo, perchè si tratta di uno dei film dell'anno -, il personaggio di Django approda finalmente al Saloon dopo aver influenzato per decenni l'immaginario dello Spaghetti Western e non solo, dando origine fin dai tempi della sua uscita in sala ad un vero e proprio fenomeno che l'ha trasformato in oggetto di culto e di numerosissime imitazioni, spin off ed omaggi - praticamente mai all'altezza, Quentin escluso -.
Ricordo di aver concesso una visione di striscio alla pellicola di Corbucci ai tempi in cui mio nonno riusciva a sfoderare almeno un paio di western al giorno quando ero da lui, ma non ricordavo - del resto, sono passati più di vent'anni - quanto grezzo e tosto questo pulp da Frontiera fosse, e tantomeno quanto sia riuscito ad influenzare la Storia del Cinema di genere e non solo negli anni: per quanto, infatti, non si tratti per nulla di un saggio di tecnica sopraffina, dialoghi memorabili o contenuti rivoluzionari, Django ha rappresentato - e rappresenta - uno dei massimi vertici di quello che oggi si intenderebbe come cult, dallo stile all'impatto.
Osservando Franco Nero - perfetto nella sua limitatissima espressività - camminare nel fango trascinandosi dietro la bara - altro colpo di genio - che cela il suo strumento di morte sulle note della splendida canzone utilizzata anche dal Quentino in apertura della sua versione si ha da subito la misura di quello che sarà il risultato complessivo del lavoro di Corbucci, che riesce a toccare temi importanti - la Frontiera, il razzismo, la violenza, la sopravvivenza ed i bassi istinti dell'Uomo - senza mai perdere di vista i suoi limiti e finendo per trasformare gli stessi in qualità dirompenti da aggiungere ad un utilizzo massiccio della violenza - che quasi definirei cronenberghiana - e ad un comparto tecnico che fa del kitsch un pregio clamoroso, dalla scenografia, ai costumi, alla fotografia.
La lezione impartita da Sergio Corbucci diviene dunque fondamentale nel porre le basi per quello che sarà il trionfo di un altro Sergio proprio in quegli anni, pronto a sfruttare l'intuizione di Django filtrandola attraverso un'abilità impressionante con la macchina da presa - provate per un istante a pensare cosa sarebbe potuto diventare questo film nelle mani di Leone - ed un decennio dopo da un altro reduce della stessa Frontiera, Clint Eastwood, che deve tantissimo per lavori come Lo straniero senza nome proprio a titoli come questo.
La vicenda di Django, antieroe che mostra più i difetti che non i pregi, per nulla senza macchia ed assolutamente lontano dai clichè classici del ruolo, tornata alla ribalta dopo troppi anni passati in una nicchia che le sta decisamente stretta, andrebbe ripescata da critica e pubblico come uno dei più fulgidi esempi di Cinema di rottura del Nostro Paese, ammirata ed imitata anche e soprattutto da Maestri riconosciuti in tutto il mondo - in questo senso Corbucci si ritrova a condividere il destino di Mario Bava, regista clamoroso qui da noi ignorato da tutti i non nerd cinematografici eppure responsabile di pesantissime influenze sui lavori di gente come Carpenter o Burton -.
Una visione clamorosa, da Saloon ed appassionati ma non solo, ed una vera e propria miniera d'oro di sequenze memorabili in grado di sorprendere ed indurre ad una sorta di dipendenza rispetto ad una figura mitica, che senza dubbio merita un posto di rilievo nella Storia della settima arte e del West.
MrFord
"Django, now your love has gone away.
Once you loved her, whoa-oh...
Now you've lost her, whoa-oh-oh-oh...
But you've lost her for-ever, Django."Luis Bacalov - "Django" -
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