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Django, da Sergio Corbucci a Quentin Tarantino

Creato il 06 febbraio 2013 da Postscriptum
 

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Grande successo internazionale per il nuovo “Django Unchained” di Quentin Tarantino, al cinema in questo periodo. Un percorso che continua e si rilancia per un nome e un personaggio creati nel 1966 da Sergio Corbucci, che diresse “Django”, un “cult movie” del western italiano.

Sulla grande strada tracciata dal western classico americano, Sergio Leone nel 1964 dirige “Per un pugno di dollari” e nel 1965 “Per qualche dollaro in più” e molti altri registi e autori italiani decidono di dar seguito al western in Italia. Ad esempio Duccio Tessari, che dirige “Una pistola per Ringo” e “Il ritorno di Ringo” nel 1965, ma anche Sergio Corbucci, che con “Minnesota Clay” del 1964 presenta il primo tra i suoi film western. Nel 1966, mentre arriva “Il Buono, il Brutto, il Cattivo” di Sergio Leone, ecco giungere nelle sale italiane “Django” proprio di Sergio Corbucci, protagonista Franco Nero, giovane attore emergente del periodo.

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In un paese al confine tra Stati Uniti e Messico, arriva un pistolero reduce di guerra dal nome Django(Franco Nero). Un posto angusto e sommerso dal fango, con un saloon gestito da Nataliele(Angel Alvarez) assieme a delle prostitute e che paga una quota al Maggiore Jackson(Eduardo Fajardo), despota del luogo e capo di una setta di fanatici incappucciati. Django in cerca di vendetta per l’assassinio della moglie da parte di Jackson, stermina quasi tutta la banda a colpi di mitragliatrice e si allea con un generale messicano rivoluzionario(Josè Bodalo). Ma non ottenendo molto da un colpo ad un forte, cerca di sottrarre soldi al messicano che, scopertolo, lo sfinisce fino a maciullare le mani a Django. Che dovrà affrontare per l’ultima volta il Maggiore Jackson, trovando un aiuto da Maria(Loredana Nusciak), una delle prostitute del paese.

Django

Un western che è divenuto un cult: vietato ai minori di 18 anni quando uscì al cinema, per la violenza eccessiva di alcune scene, “Django” viene esaltato dalla colonna sonora di Luis Bacalov, che assieme ai numerosi brani compone la canzone di testa assieme a Franco Migliacci, cantata da Rocky Roberts, e che viene ripresa da Tarantino nei titoli di testa di “Django Unchained”. Franco Nero trascina per sè una cassa da morto in mezzo al fango, per tirarvi fuori una terribile mitragliatrice davanti alla banda di Jackson. Una banda alla quale Tarantino nel suo film fa quasi il verso in una scena carica di ironia dove gli scagnozzi di Spencer Bennett “Big Daddy” cercano di eliminare, incappucciati, Django e il dottor Schültz che avevano ucciso i fratelli Brittle, ma falliscono clamorosamente. La banda del Maggiore Jackson, invece, segue un’ideologia razzista, che considera la povera gente meno che niente, riscuotendo addirittura soldi in cambio di protezione.
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Ed ecco che il tema della discriminazione diventa centrale in “Django Unchained”, ambientato nel 1858 e dunque appena due anni prima dall’inizio della guerra di Secessione negli Stati Uniti. Il Nord antischiavista contro il Sud schiavista e razzista verso i neri. Django(Jamie Foxx) è un nero schiavo come tanti, sottoposto a lavori forzati e violenze di ogni tipo dai suoi “proprietari”. Viene liberato dalle catene, e quindi sarà “Unchained”, con una sparatoria dal Dottor King Schültz(Christopher Waltz), ex dentista tedesco divenuto un bounty killer che cerca di prendere la taglia dei negrieri fratelli Brittle, vecchi aguzzini di Django, che li conosce e li può indicare a Schültz. Riuscito nell’intento, il Dottor Schültz decide di assumere con sè come bounty killer Django, che intanto vorrebbe liberare la moglie Broomhilda(Kerry Washington), anch’essa schiava a Candyland, magione dello spietato negriero Calvin Candie(Leonardo Di Caprio). Django e Schültz, passato l’inverno e divenuti amici, si dirigono verso Candyland dove dovranno affrontare Candie e il suo governante e consigliere Stephen(Samuel L. Jackson), un nero che dirige schiavi neri. Ma, essendo il film ancora in sala e con grande successo, non svelerò oltre, anche perché quanto scritto basta per ciò che andremo a dire.

Django Unchained

Quentin Tarantino ha spesso usato citazioni, colonne sonore, particolari del cinema italiano di genere nei suoi film, esempio ne è “Bastardi senza Gloria” del 2009 che prese molti brani da film italiani e lo stesso titolo da “Quel maledetto treno blindato” del 1978 ovvero “Inglorious Bastard” , titolo in USA, film di guerra diretto da Enzo G. Castellari. Stavolta l’omaggio è proprio per gli “Spaghetti Western”, come vennero ribattezzati dagli americani per distinguerli quasi ironicamente dai western classici statunitensi, salvo poi rivalutarli negli anni successivi. “Django” di Sergio Corbucci è la base di partenza di Tarantino. E vi sono in “Django Unchained”:
come già detto la canzone di testa Django cantata da Rocky Roberts e il brano “La corsa” di Bacalov; il tema della discriminazione, che diventa proprio quella razziale nel Sud schiavista con Tarantino, e da apprezzare ancor di più in un periodo in cui echi razzisti fanno nostro malgrado la loro presenza in più ambiti della vita sociale, sia in Europa che in America; e Tarantino ricorda, nel suo stile, cosa è stato di tremendo la schiavitù per i neri d’America, sintetizzandone l’assurdità nel personaggio interpretato da Samuel L. Jackson, un governante nero che si vuole sublimare sugli altri neri e li disprezza, non accorgendosi di disprezzare così sè stesso restando pure attaccato alla sua posizione alle spalle di Calvin Candie;
la banda degli incappucciati di Jackson trasformata nella paradossale banda di Bennett;
la vendetta del Django di Corbucci, che vuole rendere giustizia alla moglie uccisa, diventa desiderio di libertà e riscatto nel Django di Tarantino, che così può ritrovare la moglie schiava di Calvin Candie;
il “fango” del paese dove arriva Django, che sembra quasi descrivere la desolazione del luogo e delle persone che vivono là, è lo stesso in cui i negrieri fanno vivere gli schiavi, e il personaggio interpretato da Jamie Foxx riuscirà a liberarsi da esso.

Ma Tarantino va oltre. Il suo progetto vuole essere un’omaggio a Corbucci ma a tanti altri registi del western italiano, e ai suoi personaggi, e alle sue musiche.

Quindi brani di Ennio Morricone, come da “Two Mules For Sister Sara” di Don Siegel, maestro di tanti autori americani, western statunitense con Clint Eastwood e Shilrley McLaine ma ispirato allo stile italiano; da “I Crudeli” di Sergio Corbucci e il tema “Per Elisa” di Beethoven arrangiato dal maestro Morricone in “Corri uomo corri” di Sergio Sollima. Anche il brano “Ancora qui” cantato da Elisa Toffoli con la musica del maestro. Poi un brano da “I giorni dell’ira” di Tonino Valerii con la colonna sonora di Riz Ortolani, e “Lo chiamavano King” di Luis Bacalov(e quindi King Schültz!) con la canzone His Name Was King, altre colonne sonore italiane e a chiudere “Lo chiamavano Trinità” di Enzo Barboni con la canzone, scritta da Franco Micalizzi Trinity, altro cult movie con protagonisti Terence Hill e Bud Spencer. Poi ci sono anche dei brani scritti da John Legend, Rick Ross e pure da James Brown con 2Pac tra gli altri.

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Ma come detto omaggi agli autori del western: Django e King Schültz diventano una coppia di bounty killer, come il Monco e il Colonnello Mortimer in “Per qualche dollaro in più” di Sergio Leone, interpretati da Clint Eastwood e Lee Van Cleef. Durante l’inverno insieme, Schültz introduce Django in questa “professione”, salvo poi ricordargli che quando si inizia a uccidere è difficile fermarsi, e qui, a mio avviso, il riferimento è a Frank Talby e Scott Mary in “I giorni dell’ira” di Tonino Valerii, citato prima, con Lee Van Cleef e Giuliano Gemma, in cui Talby è un abile pistolero che insegna il mestiere di uccidere a un ragazzo, Scott, che è costretto a umiliazioni in una città ricca e corrotta e a fare da sguattero, e avrà il suo riscatto diventando un formidabile pistolero, anche grazie alle “regole” che gli narra Talby.  Quasi come nel film di Tarantino. Che poi omaggia direttamente Franco Nero con un cameo, nella quale fa incontrare i due Django, il vecchio e il nuovo, e quest’ultimo ricorda a tutti che la “D” di Django è muta! La sequenza invernale sembra riferirsi a “Sentieri Selvaggi” di John Ford, quando i due protagonisti sono alla ricerca della ragazza rapita dagli indiani, così come la neve è l’elemento presente in “Il Grande Silenzio” di Sergio Corbucci del 1968. Le esplosioni sembrano quelle di “Giù la testa” di Sergio Leone, come le imprecazioni finali di Stephen somigliano a quelle del Brutto, ovvero Eli Wallach in “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”. Ma questo serve a far capire a che punto la passione di Tarantino verso il western italiano, e non solo, è importante.

Il successo di “Django Unchained”, il film più visto e che ha realizzato il miglior incasso fra quelli di Tarantino, è dunque riconosciuto e certo. La grande rilevanza del cast, a cui ha preso parte anche Leonardo DiCaprio, entusiasmato dal personaggio che Tarantino gli ha assegnato, e la regia veloce, folle, violenta ma ironica di Quentin fanno la differenza. Come del resto nel 1966, ma soprattutto negli anni a venire, accadde per “Django” di Corbucci, che lanciò definitivamente un attore come Franco Nero. Se l’origine del western italiano è Sergio Leone, è però fuori di dubbio che Sergio Corbucci fu un’altro dei più importanti registi, perché titoli quali “Minnesota Clay”, “Il Mercenario”, “I crudeli”, “Il Grande Silenzio”, “Vamos a Matar Compañeros”, solo per citarne alcuni, sono considerati tra i migliori del loro genere. “Django” è il punto di inizio verso la successiva produzione di film di successo al botteghino, e oggetto di culto tra gli appassionati. E in una rivalutazione complessiva del western italiano, che all’epoca venne condannato dalla critica ma premiato dal pubblico, e oggi considerato e applaudito. E’ assolutamente differente dal western americano classico, perché anche la stessa idea del West che gli autori italiani avevano era diversa. Nel western americano sono la storia che si racconta e i luoghi in cui si svolge a essere esaltati, in quanto vengono raccontati momenti che la civiltà americana ha vissuto, sia con film basati su fatti accaduti ma anche su sceneggiature originali, ispirate alla realtà. Sergio Leone è stato il ponte tra la cultura americana e italiana del West, che ha unito perfettamente. Gli altri autori, a cominciare da Sergio Corbucci, hanno creato personaggi e storie all’interno del West, che diventa teatro di scontri, duelli e sparatorie che esaltavano il pubblico. Dunque un percorso che completa il genere western come viene conosciuto.

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“Django”, di Sergio Corbucci, Italia 1966, Western
con Franco Nero, Loredana Nusciak, Josè Bodalo, Angel Alvarez, Eduardo Fajardo, Luciano Rossi, Gino Pernice, Simón Arriaga, Giovanni Ivan Scratuglia,Remo De Angelis, Rafael Albaicín
Soggetto e Sceneggiatura: Sergio Corbucci
Collaboratori alla Sceneggiatura: Franco Rossetti, Josè Maesso, Piero Vivarelli
Montaggio: Nino Baragli, Sergio Montanari
Fotografia: Enzo Barboni
Musica: Luis Enriquez Bacalov
Prodotto da Manolo Bolognini per la B.R.C. Produzione Film, colore, 92′

“Django Unchained”, di Quentin Tarantino, USA 2012, Western
con Jamie Foxx, Christopher Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L.Jackson, Kerry Washington, Tom Savini, Gerald McRaney, Tom Wopat, James Russo, Dennis Christopher, Walton Goggins, James Remar, Don Johnson, Tom Wopat, Johnny Otto, Franco Nero, Jonah Hill
Sceneggiatura e soggetto: Quentin Tarantino
Montaggio: Fred Raskin
Fotografia: Robert Richardson
Musica: Artisti Vari
Prodotto da A Band Apart, Sony Pictures, The Weinstein Company per Warner Bros., colore, 166’

Giuseppe Causarano
Twitter @Causarano88Ibla


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