Eccomi reduce dalla visione dell’ultima fatica tarantiniana, Django Unchained, un moderno spaghetti western farcito con quanto di più pulp il buon Trantino è in grado di creare. Premetto che non sono una tarantiniana sfegatata che vede in Pulp Fiction il Sacro Graal del cinema moderno; personalmente ho amato di più Le iene, il suo primo e, a detta di molti, ‘acerbo’ lavoro. Mi piacciono i film del grande cineasta americano nella misura in cui mi divertono, stimolano il mio gusto estetico per le inquadrature studiate e mi affascinano con i loro paradossi e le loro assurdità. Altro aspetto che apprezzo è il gusto di Tarantino per i film del passato, specialmente come quelli maltrattati o relativamente poco stimati come possono essere i western. Poco stimati almeno da me che da brava donzella quale sono non riesco mai ad appassionarmi a sparatorie nel deserto (o forse non mi abituo alla sensazione di sporco che mi trasmette la polvere dei western!).
Fatto sta che stavolta mi sono davvero appassionata a questa storia: non un semplice western, ma la storia del riscatto e della vendetta di un uomo, un uomo nero, nel bel mezzo della tratta degli schiavi, nel Sud degli Stati Uniti, dove gli afroamericani erano trattati – e considerati – alla stregua di carne da macello. Bravissimo Jamie Foxx nei panni del protagonista Django che, francamente, non avevo mai preso in considerazione, ma che mi ha davvero stupito per la sua intensità. Tuttavia la scena gli è totalmente rubata, almeno a mio vedere, dall’interpretazione magistrale di Christoph Waltz alias il Dottor Schultz: l’attore-feticcio di Tarantino, già visto nel ruolo del a dir poco perfido colonnello Hans Landa in Bastardi senza gloria: quel colonnello nazista talmente cattivo da farmi dubitare che il Dottor Schultz potesse essere così buono ed umano. Proprio così, umano, sensibile e culturalmente raffinato, come solo un tedesco romantico può essere, nonostante il lavoro di cacciatore di taglie che lascerebbe ben poco sperare a proposito della sua umanità. E oltre ai due protagonisti (non riesco a non considerare anche il Dottor Schultz un protagonista!) si alternano sulla scena nomi scintillanti del cinema: un camaleontico e quasi irriconoscibile Samuel J. Jackson, più negrerio dei bianchi sudisti; uno splendido Franco Nero in un cameo più che prestigioso (ricordo a chi non lo sapesse che fu il primo famoso Django nel film di Sergio Corbucci che lo lanciò nell’olimpo del genere); Don Johnson, protagonista del mio sketch preferito in assoluto, quello paradossale della discussione nel Ku Klux Klan sui cappucci bianchi dai fori per gli occhi troppo piccoli!
E poi che dire del mio amatissimo Leonardo Di Caprio, lo spietato Candie, appassionato di lotta mortale fra mandingo, tutto buone maniere e violenza. Personalmente non ho mai avuto bisogno di conferme sulla sua bravura che vanta ruoli per me indimenticabili in pellicole che farebbero invidia a qualsiasi suo collega, come The Departed, Blood Diamonds, Shutter Island ed Inception. Per la prima volta nei panni del cattivo regge la parte alla perfezione, facendoci dimenticare i suoi occhioni blu da bravo ragazzo e i suoi personaggi eroici e intrinsecamente buoni. Qui è crudele, sadico, spaventoso e senza pietà: un’altra prova da grande attore per uno che grande attore lo è da sempre (e se avete qualche dubbio, guardatevi Buon compleanno Mr Grape!!). Una piccola curiosità : nella scena in cui Candie scopre il tranello che il Dottor Schultz e Django gli hanno teso e sbatte violentemente la mano sul tavolo, Leonardo Di Caprio appare con la mano insanguinata; ebbene non si tratta di una finzione cinematografica, si era davvero tagliato la mano con un bicchiere rotto ma ha continuato imperterrito la scena grondante di sangue: un applauso per questo inconveniente che ha reso la scena ancora più realistica!
Che dire di più, il film mi è piaciuto per tutto: per la storia, per lo stile, per le musiche (affidate ad una leggenda come Morricone), per le sofisticate citazioni, per la regia, per le battute taglianti, per le grandi interpretazioni e, soprattutto, per l’estrema ironia che non manca mai nei film di Tarantino, un’ironia insolita, stravagante, politicamente scorretta che solo lui riesce a mettere in scena senza essere bollato dai buonisti con qualche lettera scarlatta. Ripeto, la mia scena preferita è proprio quella esilarante dei cappucci bianchi del Ku Klux Klan, non a caso la parte più divertente del film: se ci penso mi viene ancora da ridere!
Avete visto questo Django Unchained? Vi è piaciuto?