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django unchained

Creato il 19 gennaio 2013 da Albertogallo

DJANGO UNCHAINED (Usa 2012)

locandina django unchained

Se dovessi esprimere in due parole che cos’è o che cosa dovrebbe essere per me il cinema contemporaneo, non esiterei a utilizzare i termini “Django” e “Unchained”: spettacolo, azione, elevata ambizione artistica, divertimento, intrattenimento, originalità, tecnica sopraffina, musiche esaltanti, attori grandiosi, rispetto e sconfinato – per quanto, fortunatamente, non filologico – amore per le opere del passato, di serie A o B che siano… C’è tutto e di tutto nell’ultimo film di Quentin Tarantino. Che per me, effettivamente, è, più di chiunque altro, il cinema contemporaneo.

E poi – chi si vede! – il nostro vecchio amico il succo di pomodoro…

Discorso ancora più complesso e importante se pensiamo che questo settimo film del regista americano (ottavo, se consideriamo i due volumi di Kill Bill) è un western, genere di fondamentale importanza per il cinema d’oltreoceano – ma anche nostrano, come ben sa il vecchio Quentin, che non a caso per Django Unchained si è liberamente ispirato al quasi omonimo (lì non si parla di catene) film di Sergio Corbucci del 1966, forse il più celebre spaghetti western non di Sergio Leone. A proposito di Leone, altra grande fonte di ispirazione tarantiniana: Django Unchained può essere facilmente letto come una vicenda a triangolo, alla maniera di Il buono, il brutto, il cattivo. Il Buono è il dr. King Schultz, cacciatore di taglie antischiavista e antirazzista che decide di aiutare Django a ritrovare sua moglie. Il Brutto non c’è, ma c’è un Negro (sì, con la g), Django appunto, schiavo afroamericano assetato di vendetta. Mentre il Cattivo è Calvin Candie, sorta di ricchissimo e sadico dandy del Mississippi appassionato di lotte all’ultimo sangue tra negri (sì, di nuovo con la g) nonché padrone di Broomhilda, sposa di Django. Un “classico” (quando si parla di Tarantino le virgolette sono spesso d’obbligo) film di vendetta, insomma, dove più che il cosa conte il come: un come di inaudita suggestione e potenza estetica, ricco di violenza esplicita, humour nero, scene memorabili e una tale rabbia nei confronti della società schiavista da far quasi pensare che Tarantino sia pure lui, sotto sotto, un vero negro americano, almeno un po’ (decisamente fuori luogo, in questo senso, le critiche preventive di Spike Lee, che spero nel frattempo abbia cambiato idea e sia andato a godersi questo grandissimo film).

Leggermente inferiore, secondo me, all’inarrivabile Inglourious Basterds (soprattutto per la banale, lunghissima e inutilmente iperviolenta sparatoria a casa Candie e per qualche scena, stranamente per Tarantino, un po’ patetico-retorica), Django Unchained è comunque il film che tutti ci aspettavamo da Lui In Persona, nonché il western più originale e importante da tempo immemore (certamente Il Grinta, pur apprezzabile, non aveva fatto scalpore. Che si debba tornare indietro ai tempi del bellissimo e misconosciuto Le tre sepolture, se non addirittura di Gli spietati?). Meravigliosi i tre protagonisti (Jamie Foxx, Christoph Waltz e Leonardo DiCaprio), stupenda la colonna sonora (che mischia con naturalezza Ennio Morricone, Luis Bacalov e pezzi country e hip hop) e grandiosi gli scenari (è il primo film di Tarantino a esaltare in qualche modo l’elemento naturale-paesaggistico). Insomma, un assoluto trionfo su tutta la linea.

Alberto Gallo



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