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Django Unchained

Creato il 05 febbraio 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

locandinaScritto e diretto da Quentin Tarantino, Django Unchained è un film dai molti contrasti, sicuramente violento, ma anche divertente, scanzonato e non scevro da validi spunti di riflessione, ancora una volta limpida espressione di uno spirito libero nel riproporre i vari generi, il western in tal caso, ed usarli come mezzo per riscrivere la Storia ed attualizzarne la portata a livello di nemesi imperitura. Certo, il nostro si prende più di una licenza, tra anacronismi e il citazionismo di vari stilemi: quest’ultimo, nella sua abbondanza, sembra bloccare a volte lo spontaneo fluire proprio delle precedenti realizzazioni, tanto come sceneggiatura che scelte di regia “pura”, pur nell’evidente esigenza autoriale di rendere proprio quanto metabolizzato negli anni, da bravo “masticatore pop”.

Christoph Waltz e Jamie Foxx

Christoph Waltz e Jamie Foxx

Per quanto mi riguarda, non ho spostato lo sguardo dallo schermo sino alla fine, già rapito dalla sequenza iniziale, i titoli di testa identici nella grafica rosso sangue a quelli del Django di Sergio Corbucci (’66), riproponendone la canzone originale (di Franco Migliacci e Luis Enriquez Bacalov, cantata da Rocky Roberts), mentre assistiamo al cammino barcollante degli schiavi.
Un’apertura che richiama, in certo qual modo, quella del suddetto film italiano: se Franco Nero, nordista reduce dalla Guerra di Secessione, trascinava una bara, simbolo di un doloroso passato, così uomini incatenati l’un l’altro si portano dietro, tra catene e le schiene segnate dai colpi di frusta, il feretro rappresentato dalla violenza dell’uomo sull’uomo, che fa del diverso colore della pelle una discriminante di superiorità.
Leonardo DiCaprio

Leonardo DiCaprio

Siamo da qualche parte nel Texas, come spiega una didascalia, due anni prima della Guerra Civile, e ad interrompere il cammino di questa triste carovana è il Dr. King Shultz (Cristoph Waltz), dentista d’origine tedesca, tanto affabile nei modi e ricercato nella favella, quanto abile nell’estrarre la pistola e farvi uso idoneo per poter acquistare lo schiavo Django (Jamie Foxx), che gli sarà utile, visto che ne conosce l’identità, per rintracciare i fratelli Brittle. Il dottore, infatti, è un cacciatore di taglie e promette a Django di dargli la libertà una volta portata a termine la “caccia”.
Ma il sodalizio tra i due continuerà, un inverno a catturare insieme i criminali, sino allo sciogliersi delle nevi, quando si metteranno alla ricerca di Broomhilda (Kerry Washington), moglie dell’ormai ex schiavo, le cui tracce porteranno nel Mississippi, alla tenuta di Calvin Candie (Leonardo DiCaprio), dove dovranno fare i conti, tra l’altro, col maggiordomo di colore Stephen (Samuel Lee Jackson)…
Samuel Lee Jackson e Kerry Washington

Samuel Lee Jackson e Kerry Washington

Django Unchained è costruito da Tarantino nel rispetto delle tematiche a lui care, vedi l’incedere degli eventi sullo scenario di un mondo in procinto di cambiare, dove non tutto è come sembra: chi vi si trova in mezzo è costretto ad un repentino adattamento e conseguente trasformazione sino alla rinascita finale, con l’affermazione della propria personalità nella consapevolezza del suo ruolo sociale (senza dimenticare, il tema dell’amore, comunque presente fra tanta violenza).
Piuttosto felice la sceneggiatura e valido l’impianto tecnico:un’ ottima fotografia (Robert Richardson), la bella colonna sonora, che mescola di tutto e di più con la consueta nonchalance (si passa dal Requiem di Giuseppe Verdi, Dies Irae, al motivo di Lo chiamavano Trinità…, Franco Micalizzi, con in mezzo una serie di altri temi musicali ripresi dai nostri “spaghetti” ed inediti rap), il caratteristico e suggestivo montaggio (Fred Raskin).
Jamie Foxx e Franco Nero

Jamie Foxx e Franco Nero

Tutto ciò non starebbe in piedi se non vi fosse la accondiscendenza degli attori a prendere parte al gioco, per cui ecco l’ambiguità liberal di Shultz/Waltz, il percorso evolutivo di Django /Foxx (schiavo, giustiziere prezzolato, uomo libero alla ricerca di una personale vendetta ed infine rivendicatore sociale), i capricci del despota bambino Candie/di Caprio. Ultimo, ma non per importanza, lo Stephen di Jackson, in apparenza gentile come la mamy di Via col Vento (l’indimenticabile Hattie McDaniel), ma infido e perfido come Iago in Otello. E’ proprio la sua interpretazione a dare una forte valenza all’ultimo capitolo del film, altrimenti bloccato nel suddetto gioco dei rimandi e sbrigativo nel cedere il passo all’inevitabile mattanza.

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Tarantino, infatti, sembra dimenticare, a volte, l’ironia che sinora gli era stata propria (il cammeo di Franco Nero e, una scena su tutte, la messa in ridicolo dei membri di un proto Ku-Klux- Klan, sberleffo anche a La nascita di una Nazione di David Wark Griffith, 1915) o il valido simbolismo di molte inquadrature (gli schizzi di sangue sulle piante di cotone), unito alla scelta di non evidenziare le atroci violenze sugli schiavi, a sottolineare la ritrosia della Storia nel rammentare determinati eventi e il cui ricordo causerà invece l’improvviso scatto di Shultz, il quale darà avvio alla carneficina di cui sopra.
A mio avviso un bel film, da vedere, dove cinefilia, gusto per lo spettacolo e valenza di una concreta denuncia sociale possono certo darsi la mano, pur a prezzo di qualche svolazzo troppo compiaciuto e una certa, insistita, strafottenza nel gestire e mescolare i vari generi, ormai giunta a lambire i confini di un calcolato manierismo. Ma sono consapevole che, proprio in virtù delle “coccole cinefile” elargite dal nostro, “Quando un critico con la penna incontra un Tarantino con la macchina da presa, quello con la penna è un uomo morto …”


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