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Django Unchained (di Q. Tarantino, 2013)

Creato il 26 febbraio 2013 da Frank_romantico @Combinazione_C
Django Unchained (di Q. Tarantino, 2013)
Per molti l'ultimo film dell'un tempo "uomo nuovo" del cinema americano Quentin Tarantino è il capolavoro del regista. Io invece non sono d'accordo. Io vado leggermente in controtendenza: Django Unchained è sicuramente il punto più elevato del percorso del regista, ma non il suo film migliore. Abbiate pazienza ma per me quello rimane Bastardi Senza Gloria e non importa se avete qualcosa da ridire a proposito.Django Unchained, ancora una volta tra il remake e il reboot. Ancora una volta un modo per reinterpretare i generi, per reinterpretare il passato e la tradizione. Quella alta e quella bassa, l'hollywoodiana e quella di altri paesi (in questo caso l'Italia). Però questa volta tutto è fatto in maniera "misurata". Oddio, sto associando il termine "misurato" a Quentin Tarantino. Quello della "fava grossa", della vendetta più lunga e sanguinosa della storia e della morte di Hitler in un cinema francese durante la Seconda Guerra Mondiale. Però è vero, il suo ultimo lavoro è misurato, epico, di largo respiro. E il bello è che non ce lo si aspettava proprio. 
Django è uno schiavo afroamericano liberato dai ceppi dal cacciatore di taglie Dr. King Schultz. Diventa così anch'egli un cacciatore di taglie con l'unico obiettivo però di liberare sua moglie Broomhilda dal giogo del latifondista Calvin Candie.
Non so perché ma Tarantino è il regista più odiato e più amato in circolazione. Ogni scusa è buona per incensarlo o distruggerlo, a seconda di chi parla. Forse lui si espone troppo, con il rischio di venire frainteso, forse eccede in un populismo (quanto va di moda questa parola, ultimamente) cinematografico che a molti da fastidio. Anche a me, a volte. Il suo citazionismo estremo, i dialoghi interminabili, la sensazione che ogni suo film sia il pretesto per una serie di scenette tecnicamente virtuose. Bene, in Django Unchained abbiamo un cambio di tendenza. Potremmo definire questa pellicola la più matura del regista-bambino. Girata in maniera divertita, per divertire, ma finalmente omogenea e equilibrata. Non fraintendetemi: il nostro non è cambiato di una virgola, "pulp, molto pulp, pure troppo", logorroico e barocco. Solo che questa volta tutto è al servizio della storia, tutto assolutamente "necessario".
Django Unchained (di Q. Tarantino, 2013)
Non mi prodigherò nel fare un elenco di tutte le citazioni presenti. E' divertente scovarle ma poi ce ne vorrebbero due, di post, per raccontarle. C'è il Django di Corbucci e Franco Nero, Trinità, Leone e le zoommate sui primi piani tipiche del cinema italiano anni '70. Eppure c'è anche Murnau, Fleischer e la mitologia nordica. Ci sono gli anacronismi di Beethoven e della dinamite. Django è stato definito un omaggio al b-movie e allo spaghetti western ma in realtà, si fosse limitato solo a questo, sarebbe stato uno dei film peggiori del regista. Invece Tarantino più che omaggiare prende spunto e costruisce. E' il cinema che piace a lui, è un processo necessario al suo modus operandi creativo. Se, però, i personaggi di questo filone nostrano sono brutti, sporchi e cattivi, quelli di Quentin sono solo cattivi, qualche volta brutti. Django Unchained è un lungometraggio (ma davvero lungo) elegante, pulito, persino nobile. Il che non è un difetto, anzi, riesce ad evidenziare ancora di più il sangue e la merda che esplodono qua e là e poi in tutta la loro granguignolesca violenza nell'ultima parte di film.
Ultima parte, ho detto. Io ne ho contate tre, in tutto: la prima introduttiva, ironica, in cui i due personaggi principali prendono forma; la seconda centrale, funzionale, in cui primeggiano i due villan Di Caprio e Jackson e l'ultima, la vendetta catartica, eccessiva e conclusiva. Django (la D è muta), interpretato da un misuratissimo Jamie Foxx, si evolve attraverso i tre momenti e diventa eroe mitico, simbolo di uno schiavismo già anacronistico, uomo nero e nuovo che tingerà di rosso i campi di cotone attraverso una rivolta personalissima. Il Dr. Shultz è invece moderno e classico allo stesso tempo, lo sguardo di un'europa tra Francia e Germania e qui l'interpretazione (straordinaria, che gli è valso il recentissimo Oscar) di Waltz ci sta a pennello, ma del resto lo aveva già dimostrato nel precedente Bastardi Senza Gloria. La sua morte (SPOILER) è per questo funzionalissima, degno epilogo per un personaggio destinato già alla sua prima apparizione proprio a questo perché estraneo a un mondo che si ostina a concepire come proprio.Parentesi a parte meritano i due antagonisti. Di Caprio, nel ruolo, è stranamente perfetto, persino gigantesco, crudele ed elegante come pochi, di una cattiveria vera e pericolosa. Jackson, lo schiavo bianco, è invece macchiettistico, grottesco ma mai piatto. Forse l'unico ad uscire veramente dallo schermo nonostante la sua natura puramente cinematografica. Stephen ci starebbe stato alla perfezione in un b-movie italiota ma allo stesso tempo prende in giro quel tipo di personaggio. 
Django Unchained (di Q. Tarantino, 2013)
E infine siamo arrivati alla colonna sonora. Ecco, la colonna sonora di Django Unchained è sublime. L'arte di fondere Morricone alla classica, il country (musica bianca) al blues di ieri e di oggi (l'hip hop) non era scelta facile. In qualsiasi altro film sarebbe risultata sbagliata. Invece con Tarantino funziona tutto alla grande, niente stona, anzi sottolinea ottimamente i momenti del film tra cavalcate e viaggi in carrozza e occhi cavati di neri sbranati. Nonostante ciò, lo ripeto, non mi sembra di avere davanti il miglior film del regista. Sarà che io amo proprio il Tarantino eccessivo, quello che arriva ad emozionarmi nella maniera più estrema possibile. Estrema ma mai cattiva, che il lato fumettistico della violenza lo rende un gioco cinefilo quanto mai divertente. Sarà. Di certo si aprono orizzonti nuovi che sono curioso di conoscere al più presto. Titoli di coda:


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