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Django unchained my heart

Creato il 21 gennaio 2013 da Cannibal Kid

Condividi DJANGO UNCHAINED MY HEART Django Unchained (USA 2012) Regia: Quentin Tarantino Sceneggiatura: Quentin Tarantino Cast: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Kerry Washington, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Walton Goggins, James Remar, Nichole Galicia, Don Johnson, Franco Nero, Russ Tamblyn, Amber Tamblyn, Jonah Hill, Zoe Bell, Bruce Dern, M.C. Gainey, Michael Bowen, Quentin Tarantino Genere: western tarantinato Se ti piace guarda anche: Django, Gli spietati, Lo chiamavano Trinità, Il buono, il brutto, il cattivo, Bastardi senza gloria
Il bello di Quentin Tarantino è che da una parte sai già cosa aspettarti, da ogni suo nuovo film, e dall’altra sa sempre stupirti. Sorprenderti come il Puffo Burlone con i suoi pacchi esplosivi. Sai già che ti scoppieranno in faccia, ma non puoi fare a meno di aprirli. Quentin Tarantino può citare, rubare se vogliamo, idee e scene da altri film, dalla Storia, dai cartoni, dai fumetti, ma non imita nessuno. Una pellicola di Tarantino è una pellicola di Tarantino. Ha un suo stile personale, unico. Quando vedi un suo film, sai che è un suo film. Questo però non significa che il Quentin ripeta sempre la stessa pellicola. Tutt’altro. Quentin applica il suo stile a generi e a storie diverse, ultimamente anche a Storie diverse, evolvendosi e cambiando. Se vogliamo, provando persino a maturare. Cosa che continua a non riuscirgli del tutto e ciò è un bene. Tarantino resta sempre un bambinone. Un eterno fanciullo che ha mantenuto intatto il potere di stupirsi e di stupirci ancora e ancora e ancora e ancora. Django Unchained è probabilmente il suo film più maturo. Allo stesso tempo, è comunque un film cazzaro, spassoso, folle, splatter e divertentissimo. Quentin insomma è come Peter Pan. Un Peter Pan imbastardito. Non crescerà mai. E Dio lo benedica per questo.
Da dove partire, per parlare di un film come Django Unchained? Non lo so, sono emozionato. Davvero. Porcalaputtenabasterda. L’ha fatto di nuovo. It’s Quentin, bitch. Oops, he did it again. Perché sto citando Britney Spears? Non lo so. Sono andato nel pallone, ecco perché. Mi emoziono io, a dover scrivere di un Mito come Quentin. Mi trasformo in un fan scatenato allo stato terminale. QUENTIN? DOV’ È? DOV’ È? AAAAAAH! VOGLIO IL SUO AUTOGRAFO!!!
Ricomponiti, Cannibal. Ricomponiti.

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"Ma tu lo conosci quel blogger, Cannibal Kid?"
"Vuoi dire Cannibal Kiiiii? La D è muta."

Dunque. Django Unchained, dicevamo. Django Unchained è una disamina profonda e acuta sul razzismo che attanagliava l’America Bianca alla vigilia della Guerra di Secessione. Un omaggio al cinema western, allo spaghetti-western in particolare e più ancora nel particolare al Django di Sergio Corbucci con Franco Nero, qui presente in un simpatico cameo. Un film fiume su due (anti) eroi molto particolari per il genere: un tedesco ya e un nero yo. Per quanto poco io me ne possa intendere di cinema western, ed è davvero ma davvero poco, non i due tipici protagonisti di un film western. Nella seconda pellicola della sua “trilogia storica”, Quentin Tarantino continua a riscrivere la Storia a suo piacimento. Dopo i nazisti di Inglourious Basterds, la sua ultraviolenza prende di mira gli schiavisti e il Ku Klux Klan. Quentin è un Robin Hood che uccide i ricchi per dare ai poveri. Ai poveri intesi come le vittime della Storia. La Storia vera è andata così? No, purtroppo no. Ma questo è Cinema, non è Storia. Qualcuno vada a spiegarlo a Steven Spielberg, autore di un Lincoln impeccabile in quanto a lezione di Storia, decisamente più carente in quanto a invenzione cinematografica. Diciamo che se fossero prof. del liceo, Spielberg sarebbe il saccentone di ruolo che sei costretto ad ascoltare in silenzio se no ti sbatte una nota sul diario, mentre Tarantino sarebbe il prof. cazzaro supplente che arriva in classe, fa un paio di lezioni che ti cambiano la vita e ti fanno credere che la scuola sia davvero una cosa utile e poi viene cacciato dall'istituto per aver fatto sesso con una studentessa e sniffato coca nei cessi.
Del proffone Spielberg ci sarà comunque tempo di parlarne, quando? A suo tempo. Non facciamoci prendere dalla foga. Cerchiamo di mantenerci lucidi e non divagare in troppe digressioni. Proprio come fa Tarantino in questo suo ultimo lavoro. Qualche flashback c’è, ma è molto più contenuto rispetto al suo passato. Tarantino è uno che ci sguazza, in flashback e deviazioni di percorso inconsuete, però qui sembra essersi quasi imposto di non eccedere e di provare a seguire un percorso più lineare. Django Unchained è il suo film più lineare. Cosa che non significa assolutamente sia privo di fantasia, come da qualcuno ipotizzato. La sfida anzi è stata quella di provare a domare il suo genio dirompente e schizofrenico. Senza imbrigliarlo. Soltanto, cercando di disciplinarlo maggiormente. Il genio di Tarantino resta sempre un puledro libero di scorazzare dove vuole. Non si è trasformato in un noioso war horse, tranquilli.
Quentin ha allora provato a raccontare questa volta una storia più lineare, diretta, meno ingarbugliata. Ha ricercato la classicità. Quello che ne è uscito, come al solito, è la sua versione della classicità e questo è un western, sì lo è, ma è la sua versione del western. Cosa che tradotta significa: piacere godurioso. Piacere godurioso allo stato puro. Anche per chi come me al solo sentire la parola western comincia già a sudare freddo. Questa volta, Quentin ha tenuto giusto qualche flashback, non troppo numerosi, e ha rinunciato alla struttura a capitoli esibita in Kill Bill e Bastardi senza gloria. Tara però è pur sempre Tara, non si smentisce mai, e quindi pure qui possiamo comunque intravedere delle divisioni piuttosto nette tra le parti del film.

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"Sì, mi ha consigliato Prince di vestirmi così, problemi?"

La prima parte è di presentazione ai due protagonisti principali, i Bud Spencer e Terence Hill della situazione, che poi con Bud & Terence non è che abbiano molto a che vedere. Il cruccone è Christoph Waltz, magistrale, gigionissimo, grandioso. Il black cowboy è Jamie Foxx, meno sopra le righe rispetto agli altri attori del cast ma di nuovo in gran spolvero come in Collateral, la pellicola che l’aveva rivelato, e in Ray, la pellicola che gli aveva permesso di vincere il premio Oscar. Da allora la sua parabola era caduta pericolosamente nella fase calante e anche i suoi tentativi di carriera in ambito musicale come cantante R&B, per quanto dignitosi, non sono riusciti più a portarlo a quei livelli. Fino all’arrivo del solito Tarantino, in grado in passato di resuscitare carriere ben più moribonde della sua e a cui questo Django non potrà che fare bene. All’inizio, Tarantino per il ruolo da protagonista voleva Will Smith, ma (per fortuna) a causa di un cachet superiore a quello di Nicole Minetti per una serata in disco non se n’è fatto nulla. Meglio così. Se uno parlando di presentazione dei protagonisti può pensare a una scena introduttiva di pochi minuti, non ha fatto i conti con la megalomania di Tarantino. La sua è una presentazione con i controcazzi che va avanti all’incirca per un’oretta buona. Bisogna introdurli bene e quindi ci vuole il tempo che ci vuole. Una delle qualità che ammiro di più di Quentin, oltre alla sua capacità/facilità di creare dialoghi stellari, è che ama i suoi personaggi. Non li butta lì dentro al film a caso. Non li getta in mezzo a una strada come cuccioli spaventati. Lui li ama, i suoi cazzo di personaggi. È anche per questo che gli attori quando lavorano con lui danno sempre il massimo, perché si trovano con dei character che dietro hanno una storia, un contesto, una vita anche all’infuori della pellicola.

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"Ci usa come schiavi personali, ma non è razzista come dicono."
Quentin (fuori campo): "ALLORA, ARRIVA QUEL CAZZO DI VINO?"

Dopo una serie di eroine donne, Quentin questa volta è tornato al passato. A quando ai tempi de Le iene era accusato di maschilismo, teoria poi ampiamente demolita a colpi di pistola da Jackie Brown, di sciabola dalla Sposa di Kill Bill, a cazzotti dalla girl band di Grindhouse - A prova di morte e con il fuoco da Shosanna di Bastardi senza gloria. Forse un giorno vorrò smontare anche le accuse di maschilismo rivolte a un altro regista geniale come Lars Von Trier ma, visto che potrebbe risultare un’impresa parecchio impegnativa, per il momento preferisco tornare a occuparmi di Quentin. In Django Unchained, ci regala allora una lunga intro in cui impariamo anche noi ad amare questi personaggi come fa il regista. C’è spazio inoltre per una scena siparietto esilarante sul Ku Klux Clan, in cui viene utilizzato il Dies irae di Verdi e compare persino Jonah Hill. Un momento comico esilarante, così come allo stesso tempo un’altra grande rivincita e sberleffo del regista contro la Storia e contro ogni razzismo. Alla faccia di chi (non faccio nomi: Spike Lee) ha il coraggio di accusarlo di essere razzista.

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"Non è vero che il business delle sigarette elettroniche è destinato
a passare presto di moda. A me piacciono tantissimo!"

Dopo di ché, il film entra nella sua seconda fase. Quella della missione vera e propria. L’apprendista cacciatore di taglie Django, ormai diventato killer spietato, con l’aiuto del suo compare Dr. Schultz vuole riscattare la moglie Broomhilda (che nomi fantastici che ci regala ogni volta il Tara!), ridotta a schiava (sessuale) presso Candyland, la dimora di Calvin Candie, un riccone che si diverte a far combattere gli schiavi di colore. Nella parte di Broomhilda troviamo l’affascinante Kerry Washington, attualmente anche protagonista della serie tv Scandal, protagonista dei momenti più romantici e anche visionari del film, mentre in quella di Calvin troviamo un Leonardo DiCaprio in una delle sue migliori interpretazioni da un po’ di tempo a questa parte. Era forse dalla sua immedesimazione totale nell'Howard Hughes di The Aviator che non vedevo Leo così determinato e convinto, lasciato dal Tarantino a briglia sciolta e dunque in grado di poter osare come non gli capitava da parecchio. Menzione d’onore va poi a un grandissimo Samuel L. Jackson, attore che da’ il suo meglio con Tarantino e che qui non so perché mi ha ricordato un personaggio dei Boondocks, il cartone che andava in onda qualche anno fa su Mtv.

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La storia si evolve quindi in una maniera che non vi sto a raccontare, ma che ci regala nuove scene, battute, momenti mitici, qualche sequenza splatter, una delle morti più esilaranti nella storia del Cinema e molto altro. Nella parte finale Tarantino conferma inoltre, oltre a un talento da dialoghista che non ha eguali, di essere diventato un maestro, il Maestro assoluto nella costruzione della tensione. Come già avvenuto in Bastardi senza gloria. La parte a Candyland, che a qualcuno potrebbe sembrare lenta, è lenta. Tarantino infatti vuole rallentare i ritmi, per preparare così al meglio il crescendo finale, super violento e tarantiniano, ma pure più sentimentale del solito, anche se già con la conclusione materna di Kill Bill ci aveva mostrato il suo lato inaspettatamente cuccioloso e tenerone. Dentro questo Django Unchained c’è poi davvero tanta ma tanta di altra roba buona, così tanta che è da vedere e basta. Vedere per Credere (nel senso religioso del termine) in Dio Quentin.

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"Certo che c'è davvero una bella taglia su quel Fabrizio Corona latitante..."

Vogliamo tirare fuori un paio di note negative, che se no poi mi si accusa di essere troppo di parte, cosa che con Tarantino sono assolutamente? E allora le dico: Quentin compare qui pure come attore e conferma che quello non è il mestiere che gli riesce meglio. No. Inoltre, la canzone realizzata per l’occasione da Ennio Morricone non è certo neanche lontanamente tra le migliori composizione del Maestro italiano e la voce di Elisa… Uff! Davvero c’è Elisa che canta in un film di Tarantino? Perché?
Peeeeeeeeeeeeeerché??? Quando l’avevo sentita all’interno della colonna sonora, prima della visione, la loro “Ancora qui” mi aveva fatto una pessima impressione, ma inserita all’interno del contesto del film ci può stare ancora (qui). Poteri miracolosi di Tarantino. Anche se il pezzo rimane probabilmente il peggiore mai usato in una sua soundtrack, è riuscito a farlo suonare in maniera decente.

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"Aaah, la tauromachia!"

Fortuna che il resto della colonna sonora è come al solito oltre ogni livello di coollaggine, con le atmosfere western vecchio stampo del mitico tema di Django di Luis Bacalov che si accompagnano in maniera naturale a nuovi pezzi hip-hop e R&B firmati per l’occasione da Anthony Hamilton, John Legend, Rick Ross e altri (peccato per l’assenza di Frank Ocean, che aveva scritto una ballatona apposta per il film ma che alla fine non è stata utilizzata). I brani black e rap si adattano alla perfezione al cinema di Tarantino, forse il regista più hip-hop in circolazione. Come un dj, Quentin “ruba” e campiona generi e idee dal passato, rielaborandoli in una maniera del tutto personale e facendoli suonare come nuovi. Come un MC, poi, Quentin riempie i suoi film di parole, con una serie di dialoghi infuocati, ricchi di citazioni, riferimenti e naturalmente un linguaggio “parental advisory explicit content”, proprio come i testi rap.
Non va dimenticata comunque anche la bellissima “I Got a Name” di Jim Croce, usata in uno dei momenti più riflessivi del film. Perché sì, il nuovo Tarantino è anche riflessivo. Ci parla di schiavitù nella maniera più vera e meno accademica possibile e ci regala un western che è molto di più e di altro rispetto a un western.
È più maturo, come dicevamo in apertura, ma non è troppo maturo. Perché alla fine Tarantino Unchained cambia ma rimane sempre lo stesso: il buon vecchio figlio di buona donna scatenato che conoscevamo, amavamo e ameremo per sempre. (voto 9/10)
L'OraBlù

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