da Il Cinefilo
Vedo i film di Tarantino come una sfida cinefilo contro cinefilo. Mi siedo in sala e dico ai malcapitati seduti vicino a me: pronti alla battaglia delle citazioni? Loro alzano gli occhi al cielo e gioco solo io.
Il citazionismo è una grande componente del cinema di Tarantino così come una passione per i Bmovies.“Django Unchained” è, se vogliamo, uno degli ultimi film migliori di Tarantino in un ritorno netto e grezzo a quello stile che lo accomunava con Rodriguez. Cafone, d’ impatto, pallottole che dissanguano contro le pareti e colpi di fucili a mezza canna che scaraventano una donna dieci metri indietro, in direzione diversa dalla traIettoria della pallottola. Gli spaghetti western sposano lo splatter con un certo gusto demenziale, restituendo agli amanti di “Dal tramonto all’alba” il Tarantino che amavano. Le citazioni sono disseminate: Stanley Kubrick vince con un richiamo a Spartacus nella prima scena e ad Arancia Meccanica nella scena del salone quando Beethoven porta alla mente del dottor Schultz flashback di ultraviolenza. Sergio Leone è chiaramente omaggiato nella musica, ma anche in alcune trovate sceniche come la frase spezzata dall’esplosione e infine l’ immancabile John Ford con Sentieri Selvaggi e la cavalcata senza sella di Django verso Candyland.
Ruolo cameo come sempre per Tarantino che, secondo usanza, muore dopo pochi minuti. Altra piccola parte per Franco Nero interprete di Django nel film del ’60. Appare come schiavista durante la lotta tra mandighi a casa di Mr.Candie e si avvicina a Django chiedendogli come si chiama e Jamie Foxx risponde: “Django. D-J-A-N-G-O. La D è muta” e Nero risponde: “Lo so” segnando il suo legame con il personaggio.
La regia di Tarantino è sempre fluida, con stacchi-scena netti che con una brusca interruzione della musica ti catapultano nella scena presente. La musica ha una grande parte nel film. Quella di apertura, come molti sapranno, è l’ originale di “Django” del ’60. La colonna sonora è un mix dirompente di Ennio Morricone e rap gangsta che sembra unire i due mondi della segregazione razziale, ma che anche puramente come scelta stilistica si conferma vincente, conferendo quel trash necessario per la costruzione della figura di Django. La reinterpretazione di Elisa del classico del maestro Morricone “Ancora qui” è veramente stupenda, poi.
Ho adorato il lettering gigante in giallo e poi on bianco. Ricorda i Bmovies e sono portato a credere sia opera dello stesso Tarantino con power point!
“Django Unchained” è scostumato e trash e rientrerà nella mia sezione appositamente dedicata tra “Da un tramonto all’alba” e “Planet Terror”. Inoltre “Django Unchained” è riuscito in una meraviglia che non vedevo più accadere da tempo: la sala applaudiva. Applaudiva. Questo può essere in parte per la maggior fruibilità del trash negli ultimi anni, soprattutto inconsapevolmente, ma anche per il coinvolgimento emotivo che Tarantino comunque crea nella storia in una tensione drammatica presente nel trattare tanto duramente un tema difficile: la tratta degli schiavi. Pur sospettando che dietro vi si nasconda anche una critica all’ olocausto (ad esempio il racconto che Stephen fa a Django su cosa gli accadrà nelle cave), tra tanti film fatti in proposito forse Tarantino è stato uno dei pochi a farci rabbrividire, a restituire quel senso di noncuranza intorno a simili atti di violenza. Per una volta ho visto qualcuno distogliere lo sguardo di fronte alla violenza fatta ad un altro uomo e tanto basta per fare i miei complimenti a Tarantino.