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Djibouti è un microstoato con pochi abitanti, poca acqua e nessuna ricchezza naturale. La sua principale risorsa è trovarsi all'imbocco del Mar Rosso, il passaggio obbligato di tutto il commercio marittimo tra Europa e Asia, la posizione più strategica del terzo millennio.
Tra la guerra in Yemen e quella in Somalia, in una regione popolata da pirati e islamisti, tutte le grandi potenze si danno di gomito per mettere un piede a Djibouti. E Djibouti li ospita tutti (a pagamento s'intende). La Francia ha una base storica, l'unico punto d'appoggio in Africa Orientale. I francesi hanno costruito un intero quartire per ospitare i militari e le loro mogli. Gli americani sono sbarcati da qualche hanno e hanno come al solito costruito i loro fortini medioevali supertecnologici, supersicuri e da cui non escono mai, nemmeno per andare a fare la spesa (meglio MacDonald's del pesce fresco). Anche i giapponesi sono qui, e i tedeschi e persino gli italiani, che tra tutti i militari sono i più rumorosi e i più sovrappeso.
Djibouti è praticamente una città-stato che ruota attorno al suo porto, da cu transita petrolio e centinaia di migliaia di container ogni anno. Visti da una delle colline che sovrastano la baia, sembrano tanti mattoni di lego impilati gli uni sugli altri. Come si riesca a prendere un container che sta sotto dieci altri resta un mistero.
A causa delle tensioni con l'Eritrea, da cui in passato arrivavano tutte le merci, Djibouti ora è la porta di entrata e di uscita dell'Etiopia, il gigante da 90 milioni di abitanti. La strada che collega Addis Abeba a Djibouti è una lunga e interminabile coda di TIR che ansano per le salite, tagliano le montagne e il deserto di sassi: una migrazione di gigantesche formiche multicolori.
Nel senso inverso scendono i camion vuoti. A parte il caffé, sono poche le merci che l'Etiopia esporta. Ce n'é una però che fa la gioia degli abitanti di Djibouti, il kat, una pianta che contiene anfetamine naturali e che si mastica per ore bevendo caffé, fumando narghilé e parlando tra amici e conoscenti. E' una droga a tutti gli effetti, ma talemnte diffusa in questa regione che serebbe impensabile proibirla (quando gli arrivi sono in ritardo si rischia l'ammutinamento generale).
E' forse grazie al kat che il melting pot culturale di Djibouti - tribù nomadi pastorali e agricole, immigrati somali, yemeniti ed etiopi oltre che il viavai di marinai e militari di ogni colore e bandiera - non esplode. Djibouti è uno stato musulmano in cui la birra scorre a fiumi, alleato delle grandi potenze ma intoccato dal terrorismo qaedista, fatto di tradizione e vita notturna. Punto di incontro degli opposti, ognuno ne trae beneficio, per cui nessuno cerca la destabilizzazione, almeno per il momento.
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