Al di là delle strette contingenze di quella che sembra una proposta assolutamente ragionevole (anche perché potrebbe essere opinabile il contrario, e cioè l'esistenza della prassi del controllo dei conti bancari), è più interessare inquadrare la questione, come ulteriore tassello del puzzle che compone il personaggio di Warren.
S'è deciso in America, che la sfidante - e l'incubo - di Hillary Clinton (ormai sempre più candidential) per la corsa alla Casa Bianca, sarà lei: insegnate di Harvard, molto anti-establishment, immersa in quello che ultimamente viene definito "populismo di sinistra", praticamente il femminile di Bill de Blasio (concessione, ma non troppo), dedicata cuore e anima da dopo il 2008, alla tutela dei consumatori dalle speculazioni bancarie e alla disuguaglianza di reddito.
La forza di Warren all'interno dell'elettorato liberal americano è stata dirompente, i video di alcuni suoi discorsi pubblici e apparizioni varie sono diventati virali, con milioni di visualizzazioni da parte di chi comincia a pensare un Partito democratico più di sinistra, più vicino agli ultimi, più lontano dai grandi gruppi d'interesse (grandi aziende e Wall Street in testa). Argomenti, appunto, da protesta civile, da indignazione, da populismo di sinistra, s'è detto.
I detrattori dipingono Warren di un'ossessiva ricerca di popolarità, una multimedialità quasi patologica, un feedback con la costituency studiato in ogni dettaglio, attraverso prodigiosi sforzi di pubbliche relazioni, per costruire ad arte un'immagine vendibile e che cavalchi i temi del consenso. Ma per molti, non si tratterebbe di celebrità: la Warren senatrice - passata per la presidenza della Commissione per la supervisione economica del Congresso tra il 2008 e il 2011, e successivamente dal ruolo di Consigliere speciale del Tesoro, nella prima Amministrazione Obama - sarebbe diventata «inesorabilmente, forse spietatamente, forse anche un po' messianicamente, incentrato sulla promozione della sua agenda politica».
Tra i suoi più grandi successi, il ritiro di Larry Summers - scelta numero uno di Obama - per la carica di presidente della Fed, accusato di essere troppo incline alla deregolamentazione delle operazioni finanziarie (poi si sa come è andata, con l'incarico alla "colomba" Yellen).
Certo, non sarebbe la prima volta che si assiste a una rivolta pseudo populista, di sinistra, anche contro i vertici del partito dem - considerato da Warren un establishment come tutti gli altri - con esiti di sicuro non trionfali: il guaito di Howard Dean, Bill Bradley nel 2000, fino ai tentativi degli Occupy del 2011, tutti finiti più meno nel fumo.
Ma tre sviluppi suggeriscono che questa volta le cose possono andare diversamente. Per prima cosa anche a livello di élite, il partito ha cambiato molto negli ultimi anni. Chris Murphy, senatore del Connecticut, stima che si sia ribaltata la situazione di non troppo tempo fa, in cui i democratici del Congresso erano divisi più o meno equamente tra i sostenitori di Wall Street e gli scettici di Wall Street, con "gli scettici" che stanno diventando maggioritari.
Secondo aspetto le dimensioni del messaggio di Warren, che a differenza di altre sfide libere, ha appeal nazionale. Il sondaggista Celinda Lake ha trovato che il sostegno per "regole più severe" per Wall Street travalica le linee di partito, aumentando negli ultimi due anni da oltre il 70 per cento a più dell'80. In South Dakota, uno Stato in cui Mitt Romney ha chiuso con 18 punti di vantaggio, un recente sondaggio ha mostrato che il democratico Rick Weiland, sconosciuto ex collaboratore di Tom Daschle, si troverebbe a soli sei punti di distacco dall'ex governatore repubblicano dello stato per il posto al Senato, libero il prossimo novembre.
Per finire, inoltre ci sarebbe un'aspetto personale tra le due eventuali sfidanti: le debolezze di Hillary Clinton si allineano perfettamente con le passioni del momento. La macchina politica dei clintonians è costosa e molto "amica" di Wall Street, Hillary è una donna del Partito, da anni al centro delle questioni del governo - prima come first lady e poi con gli incarichi personali -, figura che rappresenta a tutti gli effetti l'establishment politico statunitense.
L'establishment, appunto. (Ma occhio, che Warren non è Ted Cruz).