Doccia scozzese

Creato il 16 giugno 2013 da Rightrugby
Ci sono diverse lezioni da trarre  per i casi nostri e  sorry, alcune pietose balle da sfatare a mo' di brusco risveglio con doccia gelata,  a risulta dello spettacolare, avvincente e combattuto 30-17 con cui il Sudafrica ha superato la Scozia a Nelspruit, davanti a u no stadio pieno (30.000) poche ore dopo la prova Azzurra, negletta di impegno e per fortuna anche di pubblico pagante.
Prima la cronaca succinta di una partita avvincente e bellissima, una vera boccata d'ossigeno per chi l'ha vista, dopo le noie e gli uggi del resto del rugby pomeridiano: primo tempo 6-10 con meta al 20' del giovane centro Matt Scott, risultato di una gara gestita nel ritmo e nella iniziativa dagli scozzesi. Greig Laidlaw in mediana è preciso e tempestivo nel suo gioco, sia ad aprire che col piede, Ruaridh Jackson all'apertura offre una delle sue prime prove totalmente limpide e prive di esitazioni.  Quello che impressiona, per contrappasso con le prove Azzurre, è il sostegno sia in fase di possesso che difensiva: tempestivo, corale, riesce a mettere del tutto in crisi quel Sudafrica un po' rinunciatario anche se sempre molto fisico visto anche contro l'Italia.  La meta stessa è meritata, voluta costruita e non casuale, il vantaggio mantenuto per tutto il secondo quarto la dice lunga sulle "distanze" cui gli Springboks sono stati tenuti, nonostante la buona volontà di Bryan Habana che va a cercarsi palle in giro per il campo sotto i campanili di Morne Steyn e nonostante la fredda precisione di quest'ultimo, assistito in mediana dal metronomo Ruan Pienaar. Il lungo predominio scozzese in campo (si, predominio) prosegue all'inizio della seconda frazione: al 42' la seconda, bella meta (a zero!) dell'altro centro Alex Dumbar porta il punteggio sul 6-17.
La reazione dei Boks è preventivabile: non cambiano gioco né diventano scomposti, solo spingono di più sull'acceleratore, mentre gli scozzesi continuano a perdere pezzi per infortuni in campo come con Samoa: dopo Jackson deve uscire anche il sostituto Horne, per fortuna che c'è il versatile Laidlaw, rimpiazzato in mediana dall'efficace Pyrogs. Prima del 50' i Boks ottengono una meta di punizione per una maul pilotata da Adriaan Strauss, sfaldata che era già dentro l'area di meta. Un minuto dopo è James Hamilton  a metter la partita ulteriormente in discesa per gli avversari, mettendo violentemente le mani in faccia a Eben Etzebeth e beccandosi un giusto giallo (qualcuno spieghi al cronista Sky Moreno Molla, pur valido ma in esaltazione scomposta a fronte della imprevista bellezza scozzese, che dita vicine agli occhi non possono essere trattate come "un innocente spintone"; piuttosto, il giallo poteva esser dato anche a Etzebeth che reagiva scompostamente).  Hamilton era stato come si dice instrumental nel mettere in crisi la rimessa laterale sudafricana, impedendo a Steyn di ancorare la squadra all'avanzamento con calci fuori come fatto con l'Italia, quindi la sua uscita è doppiamente dannosa. Al 55' arriva in superiorità la meta del positivo JJ Engelbrecht che marca il sorpasso sudafricano 20-17 . Il resto sarebbe garbage time, ma gli Scots non mollano e i sudafricani come d'abitudine accelerano nel finale. Così Patrick Lambie subentrato a Steyn iscrive tre punti a referto e all'ultimo minuto, l'enfant gaté Jan Serfontein subentrato da poco a Englebrecht inventa una meta fantastica, mettendo assieme potenza e agilità per sfondare il pieno della linea difensiva scozzese ancora attenta e presente.
Oltre alla vittoria sofferta ma "gestita" con calma e senza affanni anche nei momenti peggiori, più la meta di un ragazzo alla seconda presenza e in tutto nemmeno un quarto d'ora, per i Boks sul piatto positivo della bilancia c'è da rimarcare il ritorno in campo dopo una vita di Bismark DuPlessis, autore di un ottimo grillotalpa.  Altro aspetto positivo è la prossima finale del torneo con Samoa, scontro che per usare un eufemismo è sempre stato molto divertente.
Sul versante scozzese, la meta finale pur bellissima del campione del mondo Junior ancora in carica (per pochi giorni), risulta una punizione eccessiva per tutto il buono che la Scozia ha fatto vedere in gara. E mentre gli Scots si leccano le ferite e contano le vittime prima del prossimo classicissimo con l'Italia, forse rifletteranno sconsolatamente che il rugby sia come una guerra: per quanto si combatta e si metta in crisi l'avversario, alla fine è sempre guai ai vinti.  Ma passerà prestissimo:  per chi perda in questo modo c'è infatti da tener la testa alta, sapendo che il momento della riscossa arriverà presto. Passando senza problemi a mo' di rivalsa e allenamento, attraverso provette contro avversari fiacchi. Come avvenne nel recente Sei Nazioni, ricordate?
E qui si arriva al dunque, che non è solo il  banale comprendere con che stato d'animo i fiacchi giocolieri Azzurri entreranno nell'arena coi gladiatori scozzesi coperti di sangue e cicatrici, a disputarsi l'ultimo posto delle Castle Lager Series.
Anche il mainstream media per le masse, quello sempre prodigo di laudi o in alternativa di cautele e attenuanti per le prove dell'Italia di Brunel, avrà credo qualche sussulto di residua coscienza nel valutare i 13 punti di distacco finali della Scozia coi Boks, di cui sette da meta individuale all'ultimo secondo, e confrontarli coi  34 (trentaquattro) punti, 5 mete a una, presi dall'Italia; ancor peggio se si aggiunge la differenza nel Test contro Samoa: 10 punti il passivo della Scozia contro i 29 (ventinove) subiti dagli Azzurri.
Intendiamoci: nè Scozia né Italia, tantomeno in giugno e fuori casa,  sono oggi in grado di battere squadre Australi di prima fascia come sono appunto gli Springboks e Samoa - e lasciamo ai peggio che incompetenti, agli smemorati credere che questi ultimi siano ancora rappresentabili come  "squadre del Pacifico, molto fisiche e individuali ma poco organizzate e disciplinate", nella realtà son più ostici della prevedibile Argentina o della sovente distratta Australia. Tant'è, gli errori di comunicazione esaltati dai media per le masse erano già nel conto. Piuttosto, le lezioni che la Scozia ci offre in questa prova sono diverse e tutte notevoli.
- Prima lezione: back to basics, IL RUGBY E' SOSTEGNO 
Ce lo insegnavano fin dal primo allenamento: se lavori in sostegno ai compagni prima e di più dell'avversario sia in possesso che senza,  allora vinci, altrimenti meglio che stai a casa. Inutile quindi provare complicanze sublimi, articolati schemi con Parisse a fare il playmaker dietro la linea che invariabilmente finiscono con casini e palla persa; cadute che non sei in mai grado di recuperare senza sostegno tempestivo e attento. Quando manca il fondamento stesso del gioco,  quello che stai provando non è rugby è qualcosa d'altro, è allenamento per trequarti o forse pelota basca, neh Brunel?
- Seconda lezione: contro "quelli forti", schierare solo "esperti esausti" o anche un po' di  giovani carichi di belle speranze?
La Scozia è arrivata in Sudafrica priva di Maitland, Gray e Hogg inseriti nei Lions e falcidiata dagli infortuni prima e durante il Tour. Ieri schierava in seconda linea l'ex Falcons Tim Swinson al debutto, il 24enne Ryan Wilson in terza, il 22enne Matt Scott e i pochissimi caps collettivi di  Alex Dumbar, Scott Seymour e Peter Murchie dietro. Risultato: Swinson è stato uno dei migliori in campo assieme a Scott e tutti si sono comportati benissimo. Meditate tecnici selezionatori dei Garcia e Canale al centro con Mauro Bergamasco in terza linea, meditate  - tutti e tre tra i meno peggio, intendiamoci, in particolare il molto grintoso flanker. E così ci avviamo tristemente verso il Mondiale con un ulteriore anno perduto: a novembre ci saranno i Test in casa e mica ci puoi mandare dei ragazzi al massacro, poi sarà il Sei Nazioni, vorrai mica scherzare lì, davanti agli ottantamila dell'Olimpico; e intanto il tempo passa ...
- Terza lezione: chi dovrebbe esser felicissimo di star così, cambia; chi invece felice non dovrebbe essere ...
Questa più che lezione è una considerazione,  volendo anche estremamente  "dissonante" nell'ambiente conformista e timido del rugby comunicato.
Dunque, abbiamo la Scozia reduce dal suo miglior Sei Nazioni da un lustro, che pur depauperata mostra una performance del tutto rimarchevole in casa di una delle nazionali sul podio mondiale: bene, questa Scozia licenzia pardòn, non conferma l'artefice massimo di tutto questo, il caretaker Scott Johnson, preferendo il "colpaccio" del reclutamento in dirittura mondiale di Vern Cotter,  uno dei nomi di coach tra i più hot del giro.
Si vede che anche lassù il distintivo conta, come da noi. Se c'era Mallett dopo un paio di prestazioni  Azzurre del genere! Ah beh, il borioso che si permise di rivelare il segreto di Pulcinella cioè la pochezza tecnica di ambiente e cronisti; ma i francesi nooo, ci capiscono così bene a noi ...
Tutto bene quindi, anche quando lo staff dimostra di:
-(a) non aver saputo motivare i nazionali sempre quelli, usando l'unica arma a disposizione assieme alla persuasione (ma non eran quelli che capivano così bene la mentalità nostrana, i francesi?): lo "stimolo concorrenziale" - sarà un caso che l'unico giocatore d'impatto entrato contro i Boks sia stato Castrogiovanni, da tempo in competizione vera per il posto con Cittadini?
- (b) non aver mostrato coraggio nella selezione, ritrovandosi prigionieri di  condizioni  approssimative, senza aver alternative da testare  (con buona pace delle "mamme" che bisogna stare attenti a non "bruciare" i giovani e di quelli che "questo è quel che passa il convento": ma se mai provi ... l'ultimo fu Mallett, e con Semenzato non gli andò male),
- (c) essersi dedicati a invero belle e profonde sperimentazioni di varianti tattiche, senza rendersi conto che edificavano sulla sabbia di una condizione fisico-mentale ESAUSTA.
Alla fine, invece di "consolidare i progressi", siamo tornati indietro.  Lo dice Parisse, offrendo scuse con la premessa di non voler avanzare scuse, ma senza ovviamente proporre rimedi. I fatti ci dicono che il (giustificatissimo) desiderio di vacanza, schiaccia la capacità e le responsabilità dello staff. Perché dovrebbe essere diverso nel 2015?
Mantenere allacciate le cinture si diceva, qualcuno forse se ne ricorda ...

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