qui). Un fulmine a ciel sereno? No. Tuonerà fino a che pioverà? Nemmeno. Potremmo andare avanti ancora con gli esempi meteo, ma non cambierebbe nulla. Vero è che qualcosa bisognava pur dire, se non fare, dopo anni di immobilismo lungo una crisi che sarà pure globale, ma che per il settore vitivinicolo trentino è anche e soprattutto strutturale.
L’idea assomiglia tanto ai pannicelli caldi applicati al paziente quando servirebbe il bisturi, quello sì usato con competenza e decisione. Per ben che vada il paziente resterà in catalessi, in attesa di tempi migliori.
Perché la Docg per il Moscato non risolverà nulla? Per una serie di ragioni per le quali è difficile anche trovare la priorità. Vediamole comunque, in ordine sparso.
- Affidarsi alla Docg al posto della Doc per migliorare una situazione insoddisfacente è un errore “storico”, perché tale si è rivelato in tutte le zone d’Italia dove, fin dall’inizio del sistema Doc/Docg (1963), si era pensato che bastasse questa qualificazione, magari calata dall’alto, per risolvere tutto o quasi tutto. Non è mai bastato fino a che i produttori (illusi e poi delusi) non hanno cambiato atteggiamento fra di loro, nei confronti del territorio (denominazione) e di tutta la filiera.
- Mistificare è parola grossa, ma continuare a parlare di Moscato giallo (varietà) per lanciare una ipotetica Docg (origine) nell’anno domini 2012 evidenzia perlomeno un grave strabismo che inverte i fattori pensando che il risultato non cambi. In soldoni: anni di pubbli-promozione sulle varietà più o meno autoctone hanno svuotato di significato la nostra Doc per eccellenza, Trentino, di cui si parla sempre meno. Nello specifico, l’enfasi semmai andava posta su “Beseno” in quanto super vocato rispetto al resto e non già sul Moscato.
- Ancora ed è il primo punto in ottica di marketing: se da un territorio tutelato da una Doc (Trentino) se ne estrapola una parte (la migliore, off course) da qualificare Docg, è automatico che il restante territorio subisca una squalifica. Un’idea così starebbe in piedi solo se fosse la prima di una serie di episodi pianificati per realizzare un progetto complessivo. Sappiamo che, purtroppo, non è così.
- Stando sempre al marketing ed agli errori storici da cui non si vuole imparare, la scelta di qualificare come “superiore” una serie di tipologie (ben 22) della Doc Trentino per darle un colpo d’ala, non è mai decollata, con fuga dalla Doc dei migliori produttori.
- Tralasciando il discorso generale (anche se è da lì che si deve ripartire) e visto che la mancanza di strategia istituzionale ha trascinato le nostre Aziende nella globalizzazione al seguito degli oligopoli, basti l’acuta considerazione di Stefano Milioni recentemente apparsa su InternetGourmet di Angelo Peretti (qui). Il mercato mondiale non sopporta una catena di specificazioni del tipo: Trentino Doc Superiore (o Docg) Moscato giallo di Castel Beseno (o Beseno), magari con l’aggiunta di Passito o Vendemmia tardiva), lunga anche per un mercato di nicchia.
- I gravosi balzelli burocratici che caratterizzano una denominazione di origine controllata e garantita (Docg) hanno un senso per prestigiose denominazioni storicamente già affermate o per denominazioni più recenti, ma di grande valore aggiunto come ad es. per certi spumanti. Sarebbe il caso del “Trento”, ma leggiamo che Mellarini insiste ancora sul fallimentare marchio TRENTODOC. E allora?
Allora, non dimenticando il fallimento della Docg Vino Santo e ripetendoci noiosamente, converrebbe prendere il sacco in cima obbligando il Consorzio Vini ad una rapida riorganizzazione interna ed alla presentazione di un piano 2013 ed uno di medio-lungo periodo dove si prevedano e comprendano le tante cose da fare per il rilancio di una politica di territorio. Tutto, non solo l’enclave di Beseno con i suoi 200 quintali di Moscato!–
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