Intenzionato a girare un film sull'educazione, il regista ha incontrato il liutaio, compositore e giornalista André Stern, che di sé dice: «Sono un bambino di 43 anni». La sua esperienza è raccontata nel libro autobiografico Non sono mai andato a scuola (Nutrimenti, 2014). Consapevole di aver vissuto un'infanzia eccezionale, afferma che essa è stata, in realtà, «la più naturale del mondo». La sua educazione si è basata sui metodi del padre Arno Stern, educatore tedesco che ha aperto a Parigi nel 1949 il Coslieu, un atelier di pittura per bambini in cui svolgeva il ruolo non di insegnante, bensì di “assistente alla pittura” (professione inventata da lui). Studioso del fenomeno della “formulazione”, ha sviluppato metodi di “educazione creatrice” condivisi dalla moglie, che ha, infatti, deciso di abbandonare il suo lavoro di insegnante nelle scuole.
Ora André Stern è anche direttore dell'iniziativa Männer für morgen [Uomini per domani] per volontà del professor Gerald Hüther, ricercatore di neurobiologia avanzata. Il suo obiettivo non è criticare a priori l'istituzione "scuola", bensì divulgare la propria esperienza e contribuire a una riconsiderazione del concetto di "educazione" col supporto di argomentazioni scientifiche. Citando le sue parole, «il mio lavoro è recuperare la fiducia nel bambino», che non nasce stupido o intelligente né tale rimane tutta la vita.
André Stern
Sapevate, per esempio, che da qualche anno si è scoperto che la parte del cervello che comanda i pollici è più sviluppata nei bambini di oggi che nei quarantenni loro contemporanei? Ovvio: il cervello è un muscolo. Ma non basta "allenarlo". Si sviluppa solo quando lo si utilizza con entusiasmo. Ora, i bambini provano un'ondata di entusiasmo ogni tre minuti per qualunque cosa; gli adulti due o tre volte l'anno. Dunque, dobbiamo avere fiducia nel bambino. «C'è un gene in tutti i bambini e in tutti noi che attende che ci entusiasmiamo», afferma l'autore di Non sono mai andato a scuolaIn Alphabet Erwin Wagenhofer arricchisce il contributo del figlio di Arno Stern con le parole di manager, educatori, studenti e con dati statistici sulla scarsa efficacia e sugli effetti nocivi dei sistemi scolastici attuali.Come educare e in quale scuola, ammesso che una scuola sia necessaria, è questione antica quasi quanto l'uomo. Come è certo che la scuola rifletta l'ideologia e le intenzioni delle classi dirigenti, il cui scopo è stato spesso, se non sempre, istruire sudditi obbedienti, formare cittadini mediamente consapevoli, fornire le conoscenze e le competenze lavorative necessarie a una società in forsennata crescita. A tali fattori (nominando solo i fondamentali), si aggiunge oggi l'ipertrofico valore attribuito alla competizione, causa la pressione economicistica e complici troppi genitori. Si chiama "trasferimento transgenerazionale" il processo attraverso cui il padre e la madre trasferiscono sui figli aspettative che furono loro proprie. Una conseguenza estrema ma significativa dell'istituzionalizzazione di una scuola che mira a creare un pensiero convergente e un'efficienza disciplinata, la offre un intervistato in Alphabet: «In Cina una ragazza può aver studiato due anni in meno, ma essere più vecchia di dieci anni. Ma ne vale la pena». Perché bisogna vincere, e da subito. La scuola, insomma, sa essere pericolosa. Di certo lo è oggi.
Arno Stern al Closlieu
Se anche esulassimo dai risvolti politici e socio-economici, i metodi educativi devono essere rivisti, anche alla luce delle più moderne scoperte scientifiche. Studi dimostrano che si impara solo se vi è entusiasmo. Gioco e apprendimento non esistono l'uno senza l'altro. Il bambino non dovrebbe, dunque, essere "scolarizzato", ma assecondato nella sua naturale e onnivora curiosità, capace di guidarlo a selezionare tra gli stimoli ricevuti quelli di maggior interesse e potenzialmente fecondi per lui. Invece, accade che dai 3 ai 5 anni il 98% dei bambini possieda pensiero divergente, che già si riduce al 32% tra gli 8 e i 10 anni, per scendere al 10% tra i 13 e i 15. Il bambino non mette, infatti, in discussione l'adulto: modifica sé stesso in base alle direttive e aspettative dei “grandi”. Si è scoperto che, quando ciò avviene, si attivano gli stessi circuiti nervosi da cui ha origine il dolore fisico. È in questo modo che il bambino inizia a "imparare", non ad apprendere tramite il gioco, che lo metterebbe in contatto con sé stesso. Il bambino inizia a «respirare senz'aria», mentre il suo potere immaginativo e creativo perde vigore fino all'annientamento. Quali libere scelte ci aspettiamo che compia quel bambino diventato adulto? Quale pensiero autonomo ci attendiamo che abbia sviluppato.Il bambino ben scolarizzato sarà un individuo efficiente, ma quanto felice? Del resto, quanto felici sono gli adulti che lo hanno irregimentato, privandolo del piacere della scoperta libera di sé e del mondo, della coltivazione di passioni nate accidentalmente, del perseguimento di interessi anche bizzarri – in apparenza – ma fautori di autentico sviluppo intellettuale-emotivo? Eppure anche i “grandi” potrebbero crescere, «se tutte le parti del cervello collaborassero». In definitiva, «se abbiamo fiducia nel bambino, abbiamo fiducia anche nel bambino che è in noi»
Vi consiglio sinceramente di vedere il documentario di Erwin Wagenhofer. Potranno nascerne discussioni; qualcuno penserà che si tratti di aria fritta o di utopie; altri forse desidererebbero chiedere come poter importare almeno qualche elemento dell'educazione creatrice di Arno Stern in un sistema scolastico che troppo spesso si limita a introdurre finti cambiamenti, non scalfendo strutture, infrastrutture e sovrastrutture vecchie di decenni e già allora non educative. Difficile, in ogni caso, non sentire messi in discussione principi pedagogici dati per scontati dopo aver visto Alphabet.
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/docufilm-alphabet-di-erwin-wagenhofer)