L'«eccentrica», «paradossale» e «riservata» Vivian Maier (così viene definita da chi la conobbe, cioè dalla persone per cui lavorò) fu bambinaia per 40 anni solo perché uscire di casa coi bambini le permetteva di vivere la passione con cui si identificava la sua vita. Li portava a spasso nei quartieri più poveri e pericolosi, e fotografava in continuazione, in modo compulsivo, camminando per le strade della Chicago degli anni Cinquanta e Sessanta Al collo le pendeva sempre la Rolleiflex grazie alla quale poteva inquadrare dall'alto e scattare fotografie senza che il suo soggetto se ne accorgesse. Il suo occhio era calamitato dalle persone, che, essendo ritratte dal basso, si impongono con la statura morale e la dignità che sembrano aver perso nella vita. Le foto rivelano, infatti, una comprensione profonda del disagio e della tragedia, ma anche un generoso senso dell'umorismo mai offensivo nei confronti del soggetto: i suoi ritratti sono empatici e pieni di calore. Dotata di un forte senso per le inquadrature, di un’elegante geometria, Vivian Maier fissa volti e corpi che il suo sguardo e le sue cornici abbracciano e proteggono. Sono ritratti di emarginati, derisi, calpestati, o di chi sta svelando la propria anima, a chi sappia vederla, nel riso o nel pianto. A posteriori, possiamo tranquillamente affermare che nelle fotografie di Vivian Maier confluiscono in modo piuttosto originale il «momento» di Cartier-Bresson e l'attrazione verso la marginalità e la devianza alla Diane Arbus.
Docufilm - “Finding Vivian Maier” di John Maloof e Charlie Siskel
Creato il 10 giugno 2014 da MichelamL'«eccentrica», «paradossale» e «riservata» Vivian Maier (così viene definita da chi la conobbe, cioè dalla persone per cui lavorò) fu bambinaia per 40 anni solo perché uscire di casa coi bambini le permetteva di vivere la passione con cui si identificava la sua vita. Li portava a spasso nei quartieri più poveri e pericolosi, e fotografava in continuazione, in modo compulsivo, camminando per le strade della Chicago degli anni Cinquanta e Sessanta Al collo le pendeva sempre la Rolleiflex grazie alla quale poteva inquadrare dall'alto e scattare fotografie senza che il suo soggetto se ne accorgesse. Il suo occhio era calamitato dalle persone, che, essendo ritratte dal basso, si impongono con la statura morale e la dignità che sembrano aver perso nella vita. Le foto rivelano, infatti, una comprensione profonda del disagio e della tragedia, ma anche un generoso senso dell'umorismo mai offensivo nei confronti del soggetto: i suoi ritratti sono empatici e pieni di calore. Dotata di un forte senso per le inquadrature, di un’elegante geometria, Vivian Maier fissa volti e corpi che il suo sguardo e le sue cornici abbracciano e proteggono. Sono ritratti di emarginati, derisi, calpestati, o di chi sta svelando la propria anima, a chi sappia vederla, nel riso o nel pianto. A posteriori, possiamo tranquillamente affermare che nelle fotografie di Vivian Maier confluiscono in modo piuttosto originale il «momento» di Cartier-Bresson e l'attrazione verso la marginalità e la devianza alla Diane Arbus.
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