Magazine Cinema

Dodes’Ka-Den – Akira Kurosawa

Creato il 09 gennaio 2012 da Maxscorda @MaxScorda

9 gennaio 2012 Lascia un commento

Dodes'ka-den
Esistono pellicole con un intorno piu’ interessante del film stesso.
Malgrado la nomination all’Oscar, il film fu un flop di notevoli proporzioni, la goccia che fece traboccare il vaso di Kurosawa gia’ colmo di altri fallimenti professionali e umani al punto da indurlo al suicidio.
Per forza di cose falli’ nel suo intento ma la depressione prese il controllo della sua vita la punto di abbandonare il cinema per cinque anni sino al successivo e sublime "Dersu Uzala" uscito solo grazie ad una coproduzione nippo-sovietica.
E’ una storia di periferia, di miseria morale e materiale, bassifondi fangosi e scalcinati come i suoi abitanti o quantomeno alcuni di questi, anzi il luogo diviene contenitore di diversa umanita’ e d’infiniti gradi di volonta’ e forza di vivere e altrettanto probabile morire, morire di vita.
La scena si apre con questo strano ragazzo che nella sua testa realizza il sogno di guidare un tram, fantasia fatta da mezzi fantasma e rotaie immaginarie ma la convinzione e’ suprema i suoni sono persino reali e nell’onomatopeico "dodes’ka-den" ecco le ruote che girano per lui e per noi, nel sorriso fanciullesco che coinvolge tutti quanti.
"La verita’ e’ che un albero morto non e’ piu’ un albero", pietra tombale sulla questione se la depressione del regista fu antecedente o successiva alla pellicola ma tenendo conto del rigurgito di pazzi, peripatetiche, depressi, mogli fedifraghe, sesso promiscuo, stupri familiari, vecchi con la saggezza da velina da cioccolatino, bambini disadattati e orrendamente accondiscendenti, diventa non una metafora dell’infelicita’ umana ma un macabro avanspettacolo di macchiette.
Alla fine per Kurosawa la soluzione e’ abbandonarsi alle proprie illusioni seppellendo l’oggettiva realta’ al suo squallore ma evidentemente, anche per lui non risolve, cosi’ come non risolve il film.
Per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito per un solo istante ad evitare il confronto col nostro "Brutti, sporchi e cattivi", italianissimo e magistrale Ettore Scola con un Manfredi da urlo, storia anch’essa ambientata in una baraccopoli non alle porte di Tokyo bensi’ quelle di Roma.
Certo, si puo’ dire che le due pellicole condividono l’ambientazione e null’altro ma non riesco a non confrontare l’approccio alla tematica dell’emarginato non tanto dei due registi, quanto del modus pensandi  di due popoli cosi’ diversi come il giapponese e l’italiano e se per entrambi non vedo un intento di denuncia sociale, uno studio antropologico o tantomeno un approccio neorealista, e’ anche vero che per l’orientale Kurosawa la portante narrativa e’ la poesia, per l’italiano Scola e’ pernacchia e sono convinto che una bella pernacchia avrebbe risolto molto di piu’ e molto meglio.
E’ una forte stilizzazione, me ne rendo conto ma capisco anche che una volta tanto, in anni complessi come i ’70, forse la strada italiana era la migliore da percorrere.
Per chi ritiene esista un Kurosawa minore, ebbene puo’ aggiungere un titolo all’elenco.

Scheda IMDB


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :