Lungo la strada mi sorsero dubbi riguardo la moralità di ciò che ci apprestavamo a compiere. Erano grossi problemi di etica… e qualcosa anche a livello giuridico.
«Ma non è un po’ come profanare, ragazzi!», chiesi intimorito.
«Ma no, mettila così: anche noi siamo in missione per conto di Dio!», mi rispose uno dei Dioscuri.
«In che senso?».
«Ehm, come i Blues Brothers, hai presente?»
«No!».
Si guardarono in faccia sbigottiti, come se avessi detto chissà quale bestemmia. Poi l’altro mi disse, con accondiscendenza:
«Nel senso che devi salvarti…, studiando il rock e diventando un buon tastierista.».
«Salvarmi?!? In che senso, non capisco!? Da cosa devo salvarmi?».
«Dall’anzianità, dal peccato di non saper bere birra come si deve, dall’immoralità di una vita condotta supinamente dietro una scrivania. Beh, nel film non era proprio così, ma più o meno, il senso è questo!».
«Siamo in missione per conto di Dio…», feci, ma con poca convinzione.
«Ecco bravo, se ti sorgono altri dubbi, ripetitelo a mente. Siamo in missione per conto di Dio…del Dio del Ruock!!!».
Per strada tutto taceva, solo i nostri passi interrompevano la monotonia di quel silenzio, e un cucco – di tanto in tanto – cucchiava ritmicamente, forse per ammonirci.
Persino i vandali erano a letto e dormivano il sonno dei giusti. Che ingiustizia!
Chissà quanto mancava all’alba, bisognava sbrigarsi. Giungemmo dinanzi all’antica chiesa, Polluce mi chiese dove fosse la sagrestia e se c’era una finestra o qualcosa del genere. Dissi ad entrambi i fratelli di seguirmi sul retro:
«Quella porta », indicai «collega direttamente l’esterno con la canonica.».
«Giaaaaà, beh, scassinate la serratura ed entriamo, presto che è tardi!», disse Polluce.
«Scassinate?» fece il fratello « Perché …ate? Fallo tu! E poi io non son capace.».
Dopo qualche attimo presero a guardarmi con insistenza:
«No, ragazzi, veramente, non l’ho mai fatto…non lo so fare.», mi difesi con timidezza adolescenziale.
«La finestra…», disse sottovoce Polluce «… entra da lì!».
«Ci sono le grate imbecille d’un fratello!».
«E potrebbe anche esserci l’allarme!», aggiunsi io.
Mentre si discuteva, successe una cosa strana. Tremavo tutto dalla paura. Ma non era questa la cosa strana. Stavo solo allungando il brodo con una considerazione personale sul mio momento emotivamente e psicologicamente fondante. No, la cosa strana era che la porta della canonica, lentamente e cigolando, si aprì, lasciando un’aperta ed ignota fessura nera sull’interno.
Castore e Polluce, alzarono le mani al cielo e dissero:
«Te lo avevamo detto o no?».
«Visto, Iachichichi….bah…insomma visto che siamo in missione per conto di Dio?».
Entrammo, io per primo. Tutto era buio, si udivano due rumori ben distinti: il ticchettio di una vecchia pendola ubicata chissà dove, e il russare pesante di qualcuno.
«Ma dorme qui il prete?», mi chiese Castore.
«Veramente non saprei…».
«Vabè, non importa, conducici all’hammond. Dov’è?», accorciò i tempi Polluce.
«Giaaaà!», chiosò Castore.
L’ammond era nel ripostiglio della canonica, un grosso ripostiglio, ma più pieno di cose di quante ce n’erano nel garage di Gianni bonzetto. Non posso fare l’elenco, credetemi, rischierei di ripetere il pezzo di Frank Zappa di due puntate fa.
«Bene, carichiamolo!», disse Polluce, mentre Castore cercava di trafugare alcune casse con su scritto: Uranio Impoverito fare attenzione.
«Lascia stare quelle robe, Castore, e vieni a dare una mano.».
«Almeno posso prendere qualcosa da quello scatolone?».
«Quale scatolone?»
«C’è scritto “Tesoro dei Templari”, guarda…».
«Ma lascia perdere, sbrigati.».
Afferrammo l’hammond ed eravamo quasi fuori dal ripostiglio, quando davanti alla porta che dava alla libertà, si stagliò una sagoma umana, evidenziata nei contorni dal bagliore improvviso di un fulmine.
Dopo il rombo fragoroso del tuono, ci fu una risata diabolica echeggiante per tutta la canonica.
E apparvero le basette…
Gaetano Celestre