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Doll Syndrome di Domiziano Cristopharo

Creato il 31 agosto 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2014
  • Durata: 95'
  • Genere: Thriller
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Domiziano Cristopharo

Ci sono alcuni film che, indubbiamente, non mirano a piacere, che non hanno come fine unico quello di circuire lo spettatore con riprese mirabolanti o virtuosismi di sorta o ancora dialoghi fiume sul senso della vita, no, esistono film, in verità sempre di meno, i quali provano semplicemente, quasi fosse una cosa facile, a mostrare, tentando di sollecitare un qualche tipo di reazione, disgustata, affascinata, indignata o energica che sia e allo stesso tempo scuotere dall’interno, in un viaggio, quasi antropologico, di voyeuristica e appassionata curiosità.

E’ il caso di Doll Syndrome di Domiziano Cristopharo, la rappresentazione dell’inferno, il secondo capitolo di una trilogia iniziata con il precedente Red Krokodil, il quale rappresentava il purgatorio; un’opera unica nel panorama del cinema indipendente nostrano, un’opera che non si ferma e, appunto, mostra il vero, personale inferno di un uomo totalmente alienato, autolesionista, feticista, molto probabilmente un reduce di guerra, fattore suggeritoci oltre che dalle forti immagini iniziali anche da alcuni estemporanei effetti sonori, un individuo inespressivo, estraneo a se stesso, straniero in una terra malamente adornante, un’anima persa e palesemente sofferente, in un mondo che non può più appartenergli a da cui si sottrae  Il film è un susseguirsi di azioni/situazioni al limite, un percorso estremo, a tratti orrorifico nella routine di quest’uomo, tanto monotona quanto malata, e che si esprime attraverso atti di auto sevizie sul proprio corpo, gesti malsani che ne concepiscono il disagio e il malessere oltre che il rifiuto totale verso tutto ciò che è materia intorno a lui. Anche il cibo non è più inteso come qualcosa di concepibile o naturale, tanto che, in una sorta di rito sacro, ripetuto quasi con certosina progettualità, egli se ne libera, rigettandolo compulsivamente, una liberazione che sa proprio di purificazione quasi spirituale. Come anche le emozioni che l’uomo probabilmente prova ed assorbe, ma risulta impossibilitato ad espletare per qualche forma di automatismo sintomatico.

Doll Syndrome

Del resto fin dalle primissime scene, in cui vediamo l’uomo masturbarsi ed eiaculare il proprio sperma dinanzi alla vetrata dell’ appartamento in cui vive e che da su una strada trafficata, il tutto in un coraggioso primo piano, le carte vengono messe in tavola in modo esplicito. Il regista non si/ci priverà di nulla, mostrerà e ci condurrà in un tunnel degli orrori nel quale il comune circo viene sostituito da una realtà deturpata e deturpante, invisibile, silenziosa, eppure quotidiana, attuale, sfidando inoltre e alquanto direttamente anche la censura, verso la quale questo film, e non da ultimo lo stesso regista, non fatichiamo a credere provino lo stesso senso di rigetto che il protagonista accusa durante il film.

Eppure il vero punto di rottura in Doll Syndrome, nonché del quotidiano di questo individuo, avviene con la comparsa di una donna molto normale, che in qualche modo attrae il nostro e ne scatena selvaggi impulsi erotici, passionali, repressi solo in parte, poiché incanalati in un fantoccio, un feticcio, sul quale egli sfogherà i propri istinti; tutto ciò finché, in questo epistolare rapporto a senso unico, non comparirà il ragazzo di lei, il quale, a sua volta, spezzerà definitivamente lo stato di passività reiterata del protagonista, fino ad allora quasi del tutto invisibile ad altri occhi.

In Doll Syndrome  il protagonista  percorre il suo girone infernale in una perenne solitudine accettata, filtrata attraverso le proprie perversioni, attraverso il proprio dolore e al proprio stato di disagio che lo imprigiona  in un limbo di perenne incomunicabilità, in un certo qual modo quasi quanto il Travis Bickle di Robert De Niro in Taxi Driver (1976), di Martin Scorsese; una similitudine probabilmente azzardata, ma neanche troppo se si colgono alcune sfumature di questo e quel personaggio. Ma dicevamo l’incomunicabilità, ecco, altro fattore evidente e intelligentemente mostrato per tutta la durata del film, dove non vi sono dialoghi,  ma solo un decadente ed onnipresente tappeto musicale che non cede mai alla melodia e non concede tregua, lasciando tutto sospeso, prossimo all’eventuale esplosione.

Doll Syndrome

Se con questo film, assolutamente coraggioso e “oltraggioso”, l’intento di Domiziano Cristopharo era quello di sconcertare, disgustare, emozionare o anche solo mostrare, sviscerare ciò che solitamente non vorremmo mai vedere, possiamo dire che sia riuscito nell’intento, non senza qualche sofferenza che comunque vale la pena di patire se si vuol tentare di aprirsi verso realtà nascoste, solo apparentemente distanti da noi, ma che potrebbero essere proprio al di là della porta di casa del nostro dirimpettaio, e insieme a lui c’è riuscito il meraviglioso protagonista Tiziano Cella che si dà in tutto e per tutto, fisicamente e mimicamente, chiuso in un’inespressività catatonica tutt’altro che semplice, con una bravura davvero notevole per una performance che non può non lasciarci scombussolati, sfiancati.  In parte anche gli affidabili comprimari Aurora Kostova e Yuri Antonosante.

Doll Syndrome, scritto da Andrea Cavaletto con le musiche de Il cristo fluorescente, non è un film etichettabile, non lo si può catalogare in un genere nè, tantomeno, considerare un film da classificare con asterischi e palline, semplicemente perché, per chi scrive, non è un vero e proprio film in senso stretto, nè vuole piacere, anzi, mira, se possibile, a non farlo per via del tema che tratta e del registro narrativo che sposa, ed è più un resoconto, crudo, reale, al tempo stesso iperbolico, sul degrado quotidiano, un saggio antropologico sulle ossessioni e le manie più (in)umane, una ballata triste, crudele, di un disturbato, inquieto eremita urbano che vaga assorto sotto gli occhi di tutti, in un mondo cieco.

 Manuele Bisturi Berardi



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