Se la guarigione emotiva è la guarigione del corpo, il dolore può essere una condanna o la possibilità di trovare un nuovo equilibrio. Questa è la sfida.
Tuttavia è interessante osservare il processo di autoguarigione prendendo a modello il “dolore”. Il dolore per una perdita è una esperienza pressoché universale che prima o poi tocca tutti noi, e la sua qualità è la stessa, sia che si tratti della perdita di una persona cara, di un animale o del lavoro, piuttosto che di una amicizia: ogni perdita ci ricollega ad altre perdite, ogni morte ci ricorda la nostra morte. Eppure l’elaborazione mentale del dolore varia da persona a persona e dipende dalla natura e dal simbolismo di ogni particolare perdita.
L’elaborazione del dolore e il processo di autoguarigione
Elaborare un dolore è un lavoro che va svolto su noi stessi, un processo di accettazione per poter raggiungere un nuovo equilibrio emotivo in circostanze cambiate. Il dolore, in realtà, è una specie di terapia, un azione del nostro sistema di guarigione.
La “negazione” del dolore e le infiammazioni
Gli psicologi e i terapeuti che lavorano con pazienti annichiliti dal dolore distinguono diversi stadi di questo processo che possono avvenire in sequenza. Sarebbe forse meglio chiamarli aspetti del dolore più che stadi. Uno di questi, forse il primo, è quello dello shock, seguito poi dalla negazione (Non può capitare proprio a me!). La negazione funge da anestetico naturale e, anche se ha una cattiva “reputazione” e se persiste non è salutare, può essere molto utile come meccanismo temporaneo per consentire un livello minimo di reazione, dal momento che l’impatto del dolore nella sua interezza sarebbe impossibile da reggere. La negazione spesso è accompagnata da sentimenti di rabbia, (perché succede proprio a me?…) che talvolta si tramutano in processi infiammatori che hanno luogo appena comincia il dolore iniziale (nelle medicine tradizionali l’infiammazione è l’estrinsecazione della rabbia).
Il “senno di poi” e la depressione
In seguito c’è la fase del “senno di poi”: (se avessi fatto questo, se mi fossi comportato diversamente, se fossi una persona migliore, ecc…non sarebbe successo), che spesso porta ad una fase depressiva (non ce la faccio ad andare avanti) ma, anche se appare come una malattia, la depressione è uno stadio avanzato del processo del dolore, perché rappresenta l’accettazione “inconscia” della perdita e la liberazione del desiderio di rientrare in possesso della “cosa” perduta.
L’accettazione e la guarigione
Quando poi in uno stadio successivo si arriva all’accettazione “conscia”, il dolore comincia ad affievolirsi, la perdita viene accettata ed il lutto elaborato, (in alcuni casi concepita come un regalo perché porta ad aprire un nuovo capitolo della vita), e l’individuo assurge ad una nuova consapevolezza di sé, riacquistando la sua normale emotività.
Conoscendo le modalità naturali del processo di autoguarigione, i terapeuti possono essere in grado di aiutare i loro pazienti, traghettandoli secondo espressioni adeguate delle loro emozioni per arrivare alla risoluzione del dolore.
In tutto questo, però, come si inserisce la guarigione emotiva nell’argomento in questione? È più in alto o più in basso rispetto alla guarigione dei livelli corporei? La mente è l’espressione più alta dell’informazione genetica inserita nel DNA oppure è la manifestazione di una coscienza al di là della materia, compreso il DNA?
Nell’Universo funziona così: come sopra, così sotto; come sotto, così sopra. Non fa alcuna differenza. E questo è il punto: ovunque guardiamo nel nostro organismo umano, dal DNA alla mente, dalla mente al DNA, i processi di guarigione naturale sono più che evidenti.
Vi sono dei limiti a quello che può raggiungere il sistema? Il potenziale di risanamento e di rigenerazione del corpo va molto al di là della nostra normale esperienza. Lo testimoniano i tanti casi di guarigioni miracolose che sono state documentate dalla Chiesa e dalla scienza Eccovi un esempio tratto dall’elenco dei miracoli di Lourdes riportato in un articolo apparso nel 1974 sul “Canadian Medical Association Journal” : Vittorio Micheli, nato il 6 febbraio 1940, rappresenta uno dei 17 casi di guarigione miracolosa.
“Essendo stato dichiarato fisicamente abile, Vittorio Micheli fu arruolato nell’esercito Italiano nel novembre del 1961. Nel marzo dello stesso anno accusò dolori di lieve entità. Nell’aprile del 1962 si presentò all’ospedale militare di Verona lamentando dolori nella regione dell’ischio sinistro (l’osso del bacino che sostiene il peso quando si è seduti) e dell’anca. Da esami clinici approfonditi , indagini radiografiche e biopsie, risultò che aveva un sarcoma (tumore maligno primitivo dell’osso) della pelvi sinistra. Secondo la documentazione dell’esercito le sue condizioni a giugno erano peggiorate e le radiografie di agosto riportavano una distruzione pressoché completa della parte sinistra del bacino. Il signor Micheli fu ingessato dall’anca al piede, ma riusciva egualmente a stare in piedi e muoversi. In agosto il centro medico dell’esercito lo sottopose a radioterapia, ma dopo tre giorni fu stabilito che il tumore non era sensibile alle radiazioni . Fu deciso di passare alla chemioterapia ma dopo 2 mesi non ci fu nessun miglioramento e fu interrotta. In novembre le radiografie mostrarono che una lussazione della testa del femore e in gennaio il femore perse ogni connessione col bacino.
In maggio il signor Micheli decise di recarsi a Lourdes e gli fu applicato un gesso più robusto. Dagli esami risultava che aveva l’anca sinistra deformata e che aveva perso completamente il controllo della gamba sinistra. Il dolore era forte e continuo e richiedeva l’uso di analgesici. L’uomo non riusciva più a stare in piedi, non aveva appetito e soffriva di disturbi digestivi. Arrivato a Lourdes, il signor Micheli fu immerso nelle acque mariane, sempre con il gesso, e sentì improvvisamente fame. Era una caratteristica delle cure di Lourdes. I dolori scomparvero e, come raccontò in seguito, ebbe la sensazione che la gamba si fosse riattaccata al bacino. Insomma, si sentiva bene. Non saltò subito dall’acqua, perché ancora impedito dal gesso. Ma era convinto di essere guarito. I medici dell’esercito, però, non gli credettero e continuarono a fargli il gesso. Un mese dopo, tuttavia, il signor Micheli camminava, anche se aveva sempre il gesso. In agosto le radiografie mostrarono che il sarcoma era regredito e che l’osso del bacino si stava rigenerando. I miglioramenti continuarono e oggi (nel 1974) seppure residua una certa malformazione, il sarcoma è scomparso. Il signor Micheli lavora in una fabbrica e sta in piedi 8/10 ore al giorno. Secondo la documentazione che lo riguarda, l’articolazione dell’anca sinistra e la gamba sono tornate normali.”
Dunque, suggestione? Miracolo? O forse la sua convinzione l’ha guarito? Io credo se che un essere umano ha vissuto una guarigione di questo tipo (così eclatante e documentata), la stessa cosa può succedere ad ognuno di noi. Oppure il signor Micheli aveva qualcosa di speciale? La verità è che i circuiti e il macchinario sono uguali in ognuno di noi. La sfida sta nello scoprire come far scattare gli interruttori giusti per attivare questo processo.