Cottage immerso nel verde scuro di campagna, lontano dalla città. Stanze raffinate, baldacchini, armadi di specchi, tavoli mogano, luci soffuse. Peccato che la campagna sia, negli anni ’30, ancora abitata dal retaggio aristocratico e nobiliare, in decadenza. Veronica è una donna cinica, tradizionalista, arguta, passatista. Suona il campanello, e i maggiordomi accorrono, talvolta sfiancati ed annoiati. Le sue due figlie non sono il massimo della bellezza, della signorilità. L’una è appassionata di fatti di cronaca nera, giornali, spie, crimini, omicidi; l’altra è, da tempo, innamorata di un uomo che non si vede mai, e il cui volto non si distingue, molto simile a Caruso. Il marito è un ex-capitano dell’esercito, ha combattuto nella Grande Guerra. Porta occhialini piccoli dai vetri marroni e vive da pantofolaio, mancando di indulgenza verso le manie della moglie. Della famiglia Wittaker, John, il figlio, è un ragazzo a modo, moderno e passatista insieme. Conosce una donna più grande, pettinatura riccia e bionda, affascinante, seducente, spericolata, femminista (partecipa al Grand Prix di Montecarlo), Larita. Da questo assunto parte il bel film di Elliott, sorpresa della passata stagione cinematografica e screwball inglese con i tratti da humor nero british che si legano ad un’attitudine filmica molto “easy”, come il titolo originale della pellicola, “Easy Virtue”. Ed è un crescendo, in poco più di un’ora e mezza, di situazioni in cui la tensione palpabile in casa è accompagnata da brio e divertimento non vacuo. Il motivo deriva dal fatto che la fiamma di John è una yankee. E la commedia del contrasto nuora/quasi suocera è tutto giocato su una diversa appartenenza di classe, nonché su un assoluto disprezzo bipartisan dei paesi di provenienza. Veronica alimenterà le critiche adducendo motivazioni storiche “ se il suo paese è meno vecchio della sedia su cui ella è seduta”, Larita, risponderà, con un laconico e personale “Sei Inglese, cara, fingi”. Tutto scorre tra rivalità nella vita del cottage, compreso la brodaglia insipida portata a cena, ribattezzata “greige” per il suo misto di beige e grigio. Riviste, siparietti, involontariamente comici, e balletti che finiscono per sconquassare la famiglia (un can can slanciato senza gonnellini). Elliott muove una storia brillante, evasiva, senza far appassire le dimensioni comportamentali. Sceneggiatura ricca, maestria, innovazione e ottime prove interpretative. Kristin Scott Thomas Jessica Biel impreziosiscono sono il piattoforte. Anonimo Ben Branes, anche per esigenze di copione. Piuttosto incolre, nonostante la solita bravura, Colin Firth.
Domani, alle 13,10 su SkyCinemaMania Un matrimonio all’inglese
Creato il 14 agosto 2010 da Ludacri87Cottage immerso nel verde scuro di campagna, lontano dalla città. Stanze raffinate, baldacchini, armadi di specchi, tavoli mogano, luci soffuse. Peccato che la campagna sia, negli anni ’30, ancora abitata dal retaggio aristocratico e nobiliare, in decadenza. Veronica è una donna cinica, tradizionalista, arguta, passatista. Suona il campanello, e i maggiordomi accorrono, talvolta sfiancati ed annoiati. Le sue due figlie non sono il massimo della bellezza, della signorilità. L’una è appassionata di fatti di cronaca nera, giornali, spie, crimini, omicidi; l’altra è, da tempo, innamorata di un uomo che non si vede mai, e il cui volto non si distingue, molto simile a Caruso. Il marito è un ex-capitano dell’esercito, ha combattuto nella Grande Guerra. Porta occhialini piccoli dai vetri marroni e vive da pantofolaio, mancando di indulgenza verso le manie della moglie. Della famiglia Wittaker, John, il figlio, è un ragazzo a modo, moderno e passatista insieme. Conosce una donna più grande, pettinatura riccia e bionda, affascinante, seducente, spericolata, femminista (partecipa al Grand Prix di Montecarlo), Larita. Da questo assunto parte il bel film di Elliott, sorpresa della passata stagione cinematografica e screwball inglese con i tratti da humor nero british che si legano ad un’attitudine filmica molto “easy”, come il titolo originale della pellicola, “Easy Virtue”. Ed è un crescendo, in poco più di un’ora e mezza, di situazioni in cui la tensione palpabile in casa è accompagnata da brio e divertimento non vacuo. Il motivo deriva dal fatto che la fiamma di John è una yankee. E la commedia del contrasto nuora/quasi suocera è tutto giocato su una diversa appartenenza di classe, nonché su un assoluto disprezzo bipartisan dei paesi di provenienza. Veronica alimenterà le critiche adducendo motivazioni storiche “ se il suo paese è meno vecchio della sedia su cui ella è seduta”, Larita, risponderà, con un laconico e personale “Sei Inglese, cara, fingi”. Tutto scorre tra rivalità nella vita del cottage, compreso la brodaglia insipida portata a cena, ribattezzata “greige” per il suo misto di beige e grigio. Riviste, siparietti, involontariamente comici, e balletti che finiscono per sconquassare la famiglia (un can can slanciato senza gonnellini). Elliott muove una storia brillante, evasiva, senza far appassire le dimensioni comportamentali. Sceneggiatura ricca, maestria, innovazione e ottime prove interpretative. Kristin Scott Thomas Jessica Biel impreziosiscono sono il piattoforte. Anonimo Ben Branes, anche per esigenze di copione. Piuttosto incolre, nonostante la solita bravura, Colin Firth.
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