Ha una risposta per tutto, Valter Lavitola. Attacca i magistrati già nell’abboccamento pre-diretta in coda al tiggì delle 20 e si dimostra affezionato ai fratelli Craxi, del “bravi ragazzi”. Lavitola sembra ciò che appare: una cerniera tra generazioni – quella di suo padre, psichiatra che tra i suoi assistiti vantava tal Raffaele Cutolo, leader della Nuova camorra organizzata, e i piduisti vecchio stampo che incontrò in giovanile carriera politica – e la sua, ex giovane rampante che a a 45 anni non si capisce bene che lavoro faccia, tanto da farselo chiedere a telecamere accese dalla firma di “Repubblica” Carlo Bonini.
Imprenditore del settore ippico, faccendiere, filantropo (perché aiuta i coniugi Tarantini), anticipa denari per il presidente del consiglio, usa utenze cellulari di Paesi esteri perché non intercettabili, fa il giornalista ma non si arrabbia mai per un “buco” (cioè una notizia lisciata che hanno le altre testate), non ricatta ma ricorda di essere depositario di qualche segretuccio. Questo il sunto di Bonini e allora ripropone la domanda: “Lei che lavoro fa? Lei è un uomo fortunatissimo o sfortunatissimo”.
Di certo è un uomo scrigno, di quelli che stanno nelle retrovie senza tuttavia sfuggire agli obiettivi puntati verso visite ufficiali di Stato. Uno di quegli uomini che ci sono sempre, presenti come un militare all’alzabandiera, ma che nessuno vede, tanto che altrettanto nessuno prova la benché minima forma di imbarazzo quando lo dichiara assente (o presente, ma per caso, come ha fatto il ministro degli esteri Franco Frattini). “Sono socialista, stavo nel Psi, la gran parte dei socialisti riformisti sono migrati in Forza Italia” e di lì vai con i legami eccellenti. Dopo la più navigata con l’ex piduista Fabrizio Cicchitto, ecco che si scala la piramide ed entra nelle grazie di Silvio Berlusconi diventandone – pare – terzo occhio (giusto per rimanere in tema di “amicizie” di grembiule). È vero – ammette come se gli si chiedesse se splende il sole sul luogo della sua latitanza in Sudamerica – che ha minacciato di menare Niccolò Ghedini, parlamentare e legale del premier, ma aggiunge che “non voglio assolutamente fare un processo in televisione perché, al contrario di quanto vorrebbero i colleghi o gli ex colleghi del Fatto Quotidiano, non vorrei far irritare i magistrati. Preferirei forse irritare qualche giornalista”.
Rieccola l’Italietta dei magheggi, del “tutto ha una spiegazione semplice e legale”, del “posso spiegare ogni dettaglio”. È uno che fa le riunioni di redazione al telefono e poi sì, filantropo lo è, ma per chi e su cosa sono affari suoi. Quello che emerge dalla diretta della La7 è che ancora una volta lo sport nazionale è negare l’evidenza (sport, forse, candidato a essere trasformato nell’articolo 1 della Costituzionale) ricorrendo a metafore, accuse di demagogia sempre agli altri. Quello che rimane sono palleggi di paccate di soldi in tempi in cui, chi lavora onestamente, è sempre più nell’angolo dell’asfissia economica. È – di nuovo – la rappresentazione dell’Italietta che ha tanti pesi e tante misure, mai legati alla meritocrazia (almeno non a quella non perseguita ai sensi del codice penale).
È l’Italietta che si è riusciti a stanare dal Comune di Parma, con le dimissioni dello screditatissimo sindaco Pietro Vignali rassegnate ieri sera, ma che permane in troppi luoghi dell’amministrazione pubblica e della politica. È, infine, l’Italietta di cui non se ne può più, come non se ne può più di una malattia che evolve più o meno in silenzio e che, quando esplode, ha quasi ucciso l’organismo parassitato.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Domani diretta da Maurizio Chierici)