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Il protagonista Victor Francés è un ghost writer (un “negro de la escritura”, come si dice in modo alquanto buffo in spagnolo) che vive della fama degli altri, scrivendo copioni per la televisione e discorsi per vari personaggi pubblici. Nel bel mezzo di un appuntamento galante con una donna sposata, l’uomo si trova in una situazione paradossale che non può che turbarlo profondamente: la donna si sente male e nel giro di pochissimo tempo, senza quasi rendersene conto, muore lasciando un bambino piccolo a dormire in una stanza piena di modellini di aeroplani e l’ospite, oramai divenuto un intruso in una casa sconosciuta, ad interrogarsi sul da farsi. Che cosa sarebbe successo se Victor Francés non si fosse trovato a cena da quella donna? Cosa sarebbe successo al bambino? E se invece Marta, che ora giace morta sul suo letto mezza svestita in modo imbarazzante, si fosse ricordata per tempo che il marito era all’estero per lavoro e avesse invitato a cena il suo “solito” amante, di cui Victor scopre l’esistenza grazie ai messaggi della segreteria telefonica che riascolta numerose volte? Sono queste alcune delle domande che si fa il protagonista-narratore, mentre continua a mentire per intrufolarsi nella vita dei familiari della donna morta per curiosità, come d’altronde facciamo noi lettori quando a forza ci intromettiamo nella vita dei personaggi dei romanzi che leggiamo, scovandone i segreti più inconfessabili e le emozioni più intime, senza vergognarcene e provando persino piacere nella continua finzione.
Javier Marías si ferma a descrivere le singole scene nel dettaglio, rallentando costantemente la narrazione, di modo che siamo costretti – almeno, io sono stata costretta – a leggere lentamente, assaporando la qualità delle riflessioni, spesso anche esistenzialiste, dell’autore. Per questo non è uno scrittore per tutti: la noia a volte è in agguato, nonostante l’indubbio valore letterario. Lo sforzo di sopportare un ritmo talmente lento da risultare addirittura snervante, credo venga ripagato dalla profondità e dalla lucidità di acune considerazioni sulla morte e sulla precarietà dell’esistenza. Chissà quanto Marías è consapevole della propria verbosità e quanto abbia lottato con editori (e lettori forse?) per non modificare questo stile, oserei dire, quasi proustiano.
Diverse citazioni letterarie e cinematografiche arricchiscono il testo, da quella memorabile di Shakespeare tratta dal Riccardo III che dà il titolo al romanzo a quella di “Campanadas a Medianoche” di Orson Welles, che non sono, come accade troppo spesso, gettate nel testo per autocompiacimento, ma contribuiscono ad approfondire le questioni trattate nel testo. Sono dei mantra che ricorrono, facendoci riflettere su come le emozioni umane siano ricorrenti, come una frase che Shakespeare mette in bocca al fantasma di una regina assetata di vendetta possa essere valida anche nella Madrid contemporanea. Il libro tra l’altro sfrutta i benefici di un’aura da romanzo giallo: a chi appartiene, per esempio, quella voce che nella segreteria piange in modo inconsolabile e la cui voce suona irriconoscibile per il pianto?
"Domani nella Battaglia Pensa a Me" di Javier Maríasedito da Einaudi, 1998 (12 €)
Sull’autore: Javier Marías è uno tra i massimi scrittori spagnoli contemporanei. E’ nato nel 1951 a Madrid, figlio di un filosofo che è stato un oppositore di Franco. E’ autore di numerosi romanzi, tra i quali “Tutte le Anime” (1989, tradotto in Italia solo nel 1999), “Un Cuore Così Bianco” (1992) e “Domani nella Battaglia Pensa a Me” (1994) formano la cosiddetta “Trilogia Sentimentale”. Nel 2002 ha pubblicato il primo capitolo di una seconda, ambiziosa trilogia chiamata “Il Tuo Volto Domani”, che comprende i romanzi “Febbre e Lancia”, “Ballo e Sogno” e “Veleno e Ombra e Addio”. Javier Marías è anche traduttore, in particolare di romanzi inglesi in spagnolo.
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