Sì, “Sorci verdi” sono “storie di ordinario leghismo”, come recita il sottotitolo del volume, firmato da Giulia Blasi, Annalisa Bruni, Giuseppe Ciarallo, Giovanna Cracco, Alessandra Daniele, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Angelo Ferracuti, Fabrizio Lorusso, Davide Malesi, Stefania Nardini, Valeria Parrella, Walter G. Pozzi, Alberto Prunetti, Stefano Tassinari, Massimo Vaggi, Lello Voce. Storie che appartengono alla narrativa, ma che dalla realtà non sembrano discostarsi più di tanto. Intanto per un aspetto: molti degli scrittori che hanno accettato l’invito di Edizioni Aleghe fanno parte di autori messi all’indice dalle amministrazioni leghiste.
Adesso gli scrittori hanno ricambiato le attenzioni ricevute. E non di certo per un senso di vendetta, ma per riportare con i piedi per terra questi sedicenti secessionisti infilatisi nelle stanze dei bottoni e finiti per essere ostaggio dei lacci economici tessuti dal socio-alleato di maggioranza, il Pdl. Oggi i due partiti non sono più al governo e da pochissimo il nuovo esecutivo Monti si è insediato per salvare l’Italia dal baratro aperto da debito pubblico e speculazioni finanziarie sui mercati dei titoli di Stato. Ma loro, i leghisti, rimangono in circolazione, cercando di ricostruirsi una verginità di movimento di popolo e di denuncia. E cercando di far dimenticare a tempo di record il disastro dell’esperienza di governo.
Tra ministeri al nord chiusi prima di aprire e parlamenti verde dipinti da opporre a un istituzionale emiciclo da cui potrebbero essere espulsi alla prossima tornata elettorale, i leghisti hanno ragione su un punto: occorre tornare a ritrarli alle origini e nelle loro terre d’origine. E gli scrittori che hanno mandato un racconto per “Sorci verdi” lo fanno. Parlano di arroganti piccoli plenipotenziari, amministratori pubblici e senatori, rampolli “deficienti” (di nome e di fatto) e annoiati adolescenti che le provano tutte (le droghe). È un mondo becero, quello ritratto nell’antologia, che fa ridere spesso, ma che, a rifletterci un po’, fa ridere amaro.
Più che una raccolta di racconti, lo si potrebbe definire un breve trattato di antropologia. E per usare le parole che introducono il volume, ecco allora che dalla tipografia arriva “uno spaccato di (dis)umanità, a volte descritto con ironia e leggerezza, come se una cinepresa fosse piantata negli occhi dei protagonisti, per raccontare un mondo di ordinario razzismo. Un libro che colpisce allo stomaco e spesso lo oltrepassa. E che, nonostante la fantasia e l’invenzione dei suoi personaggi, racconta un’Italia vera”.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Domani diretta da Maurizio Chierici)