Un colpo di una beretta, il kalashnikov tra le due mani impugnato.
Revolverate sparate a vuoto, esplosive, in un mare che, argenteo, sotto un
cielo notturno, vede lo scoppiettio dei colpi, mentre due individui, mollicci
come dei bambini mai cresciuti, giocano con le armi rubate di un arsenale
trovato in una casa aperta, di verde ricolma, decadente e fatiscente, con
l’erba che ne ricopre le mura grigiastre. Qual è il peso di una vita? Pesa
quanto il logorio di una cinghia, quanto l’olio scivoloso nell’acqua che
risale, un po’ meno di una serata in discoteca, certamente meno di
un’opinione. Chi si ribella, muore. E l’ingiunzione di morte è l’avvertimento
finale, prima che il boss perda una pazienza, che non sarà certo sua virtù.
Marco e Ciro sono giovani. Hanno “tutta la vita davanti”. Ma qual è il costo
di una bravata, il conto di chi, con il naso grosso come una patacca, o la
voce singhiozzante che fuoriesce, speziata da un senso di invincibilità, cerca
di scimmiottare i grandi. Imbattibilità? Tra gli uomini, e anche più su, non
esiste.Tutta la vita davanti? Dove vive un clan, significa sperare di campare
il più possibile, la vita è un po’ come una roulette. Se il numero si incasella
sul rosso, è finita, sul nero, è finita ancor di più. Rosso e nero, i colori della
morte. La morte, unica certezza umana, si fa più certa. La vita, quando la
scienza la prolunga, qui si abbrevia. Don Ciro dispensa moneta, a coloro che
hanno parenti in carcere e sono impossibilitati, altrimenti a vivere. A chi ha
aderito al sistema. Quando scoppia la guerra con gli scissionisti, Don Ciro
ha paura di morire, cerca di mediare, indossa un giubbotto antiproiettile,
vorrebbe occultarsi, fantasma presente ed assente, uomo che c’è ma non si
vede. Si trasforma nell’ombra di sé stesso. Roberto è l’ombra di sé stesso;
non accetta più la sua vita, il suo lavoro. Franco (Toni Servillo) è il
magnate, cerca le cave calcaree, acquista interi terreni, laddove rifiuti tossici
del Nord Italia sono smaltiti con la metà del prezzo pagato, laddove camion
sono portati da uomini ignari di viaggiare con rifiuti radioattivi a bordo. Un
carico versato, un guidatore ustionato. Roberto matura il rifiuto di
responsabilità tanto grandi. E allora che si fa, che fa Franco, indossando una
tuta di protezione verde chiarissimo, verde mela, o la sua giacca di lino
elegante bianca, con la camicia blu? Assolda un gruppo di under10, che
della guida sono già esperti, con una paga. Giacca di lino, camicia blu. Si
passa all’angolo dei prê-à-porter, delle aste d’appalto di confezionamento di
vestiti d’alta classe, che le più grandi case di moda gestiscono in nero.
Pasquale ha le mani di un artista, è “il sarto”, che tra corpetti e tessuti, vive
la sua vita, con una famiglia a carico. Accetta di aiutare Xian, cinese,
pronto, con la sua manodopera sottopagata, ad entrare nel mercato d’alta
moda e paga tanti euro perché il poderoso professore si nasconda nel
bagagliaio ed insegni a creare pezzi unici, che sfileranno, che le più grandi
celebrità indosseranno. La tresca verrà scoperta. Da camionista, rivedrà le
pieghe del suo vestito in un abito della Johansson, donna splendida. E le
donne? C’è Maria, che non vuole lasciare la sua casa nelle vele di un
quartiere popolare, nonostante il figlio sia traditore. Amici-amici un tempo,
nemici-nemici ora. Come Totò e Simone. Totò è un bambino, Totò è un
adulto. Entra nel sistema, dove o sei con noi o contro di noi. Ha pochi anni,
ma è come se ne avesse tanti. Si cresce quando ancora non si è cresciuti.
Saviano denuncia, Garrone ritrae…
Roberto “sa e ha le prove”, Garrone “sa
e ha le armi”. Perché l’immagine della parola è il veicolo più immediato.
Perché l’immagine della voce è il millepiedi. Si insinua facilmente, si
imprime, non si cancella. Un film che mescola solidità narrativa e visione atipica. Un modo di concepire il cinema come "mezzo sociale" con forma artistica. O come forma artistica che legge la società, in quella terra che sembra il vecchio Bronx, con i paesaggi stranamente poco luminosi e quei visi spenti.