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Domenica

Da Thefreak @TheFreak_ITA

Ore 10. E’ domenica. Sono a casa e fuori piove. Una enorme nube grigia si dilata nel cielo striato. Un cumulonembo di milioni di goccioline precipitano dall’atmosfera senza razionalità. Vedo della finestra miliardi di miliardi di molecole d’acqua che cadono al suolo ad una velocità fulminea e altrettante che sbattono contro il vetro spesso davanti ai miei occhi. Due elementi. Idrogeno e ossigeno, uniti insieme per dar vita al miscuglio chimico perfetto. Quella sostanza liquida preziosa che costituisce circa il settanta per cento della nostra massa corporea, senza la quale moriremmo.

Io ne bevo in continuazione. Sono drogato di acqua. Sono peggio di un dromedario algerino. Mi nutrirei solo di acqua, se potessi. La preferisco leggermente frizzante, però. Quella della pubblicità del calciatore e dell’uccellino. Gonfia, è vero, ma mi disseta di più. O almeno è la sensazione che mi trasmette.

Amerò anche l’acqua, però odio i temporali estivi. Mi mettono di cattivo umore. Mi abbattono come i sedili posteriori di una Range Rover a chilometro zero. Mi deprimono come i comici del cabaret del mercoledì sera.

Sono chiuso in casa e non posso fare altro. Non c’è latte in frigo e mi scoccia scendere a comprarlo, poiché mi dovrei vestire, mettere i calzini, le scarpe, prendere l’ombrello, aprire l’ombrello, scendere le scale, bagnarmi. Si bagnarmi, perché tanto mi bagnerei lo stesso, lo so. Se c’è vento, infatti, l’acqua passa da sotto la stoffa dell’ombrello e mi “annacqua” i pantaloni. E’ matematico. No, grazie. In credenza ci sono i biscotti, ma secchi e, da soli, senza latte, non li gradisco, e poi mi lasciano quelle briciole di panna e cacao tra le gengive che non riesco mai a togliere, neanche con l’ausilio della mia lunga lingua biforcuta.

Accendo lo stereo. Pompo nelle casse dei Powerfrancers. Una botta di adrenalina. Vibra dentro il ventre / la senti la cassa / Botte nella testa / con il basso che devasta. Questo suono “spacca di brutto”, soprattutto i timpani, ma se non faccio così resto tutto il giorno raggrinzito tra le lenzuola del letto e non mi alzo più.

La domenica mi piace stare a letto, ma “utilmente”. Appoggio la nuca sulla fresca federa del mio morbido cuscino ripieno di un doppio strato di lana vergine. Di solito leggo un libro. L’ultimo è Fango di Niccolò Ammaniti. Una raccolta di racconti davvero originali. Storie nelle quali una minuziosa osservazione della realtà si fonda con una scatenata fantasia. Oppure cazzeggio un po’ con la Play. PES 2011 non è un semplice gioco. E’ “il gioco”. Quando viene Walter ci facciamo le maratone di PES. Ma non scegliamo gli squadroni titolati del tipo Milan o Real Madrid. No. Io scelgo il Chievo, lui il Bologna, e ce le diamo di santa ragione. Troppo facile segnare con Ibrahimovic. Prova a fare un cross da destra con Pulzetti o a segnare di testa con Gimenez…

Più tardi dovrebbe passare Giovanna. Mi ha chiesto di darle una mano per preparare l’esame di Fashion marketing. Ovviamente le ho raccontato di quando a Ibiza ho incontrato Karl Lagerfeld. Lei è svenuta al telefono:

«Davvero? Hai incontrato Karl? Il guru della moda?»

«Si. Certo. Siamo amici. Amici…Conoscenti…»

(In verità l’ho sfiorato all’Amnesia mentre ero strafatto di Rum&coca. Lui era girato di spalle. Aveva una camicia bianca e un papillon nero. A dire il vero non sono sicurissimo che fosse lui. Dettagli…).

«Oddio. Presentamelo. Ti prego.»

«Eh. Ma sai come sono fatti loro…»

«No. Come? »

«…Eh sempre in giro per il mondo. Sfilate. Servizi fotografici. Feste di Gala. Non è un mondo che fa per noi.»

«Hai ragione. Anche se io sogno di diventare una stilista di Fendi. »

«Ti piace Fendi?»

«Si. »

«Ho un’amica che ci lavora. Se vuoi ho il trenta per cento di sconto. »

«Wow. Il trenta per cento? Ma lo sai cosa vuol dire? »

«Si che lo so. Che una pochette che costa seicento, la paghi quattrocentoventi euro. »

«E ti pare poco? »

«Mi pare comunque troppo.»

«Ahahahahaha.»

«Ahahahahaha.»

Mentre aspetto Giovanna vado a lavare i piatti. Ci saranno tredici piatti sporchi e quarantadue posate tra cucchiai, forchette e coltelli lasciati nel lavello da me e dai miei coinquilini. In casa non abbiamo la lavastoviglie e da bravi fuori sede organizziamo serate allo sfascio, salvo poi lasciare per giorni tutto a marcire. Per pulire facciamo i turni. Ci sono i simboli personalizzati disegnati con il pennarello indelebile sul calendario di Melita Toniolo sopra il frigorifero. La X sono io. Questa settimana tocca a me. Io non amo né pulire per terra né lavare i piatti, ma tra le due azioni preferisco senza dubbio la seconda. Mi piace l’odore dello Svelto al limone che si incontra con quello della pelle delle mie mani nude. I tensioattivi anfoteri e i tensioattivi anionici rendono il detergente uno sgrassatore imbattibile. E poi il concentrato di limoni siciliani mi ricorda la granita di Catania.

Ore 13

Driiiiiinnnn…Suona il citofono:

«Chi è?»

«Sono Giovanna…»

Entra in casa assieme al suo profumo intenso. Entra prima il profumo, poi lei. Semplice e aggressiva allo stesso tempo. Un trucco leggero. Accennato. Capelli scombinati, come piacciono a me. Top in raso ricamato marrone chiaro, jeans skinny e tronchetti marrone scuro, borsa Magic Circus Piero Guidi, in perfetto stile “urban chic”. Una dolce pantera metropolitana.

Mi saluta con due bacetti sulle gance, lancia la borsa sul divano e va a farsi un giro per il salotto. Cammina in silenzio come un fantasma. Guarda la mia abajur a forma di Tour Eiffel che ho comprato ad un mercatino di arte contemporanea, la mia libreria bianca con le figurine PANINI degli anni delle scuole elementari appiccicate internamente e, di fianco, uno scaffale mezzo rotto di IKEA dove ci sono ammassati una serie di vecchi cd di artisti musicali italiani e stranieri. Incuriosita, si avvicina, e trova un vecchio cd di un mio ex coinquilino cubano. Titolo: “La salsa”. Il suo sguardo si illumina e mi fa:

«Ti piace la salsa?»

La salsa? Ma di pomodoro? Oddioemòcheledico??? Un disco di musica cubana a casa mia? Era più facile trovare un album di inediti di Anna Tatangelo. Ecchesfiga.

«…Si.»

«Spero quella cubana?»

«Cubana. Cubana. Solo cubana. Perché ce ne sono altre? Ahhahahahah. Ma tu non sai che mia nonna materna, Alessandra Martines, era proprio di Cuba?»

«Alessandra Martines? come l’attrice italo-francese?»

«…Si, ma mia nonna era italo-cubana. E’ stata l’amante di Fidel Castro a San Cristóbal de La Habana, sai?»

«Davvero? No, dai racconta…»

(Cretino, Cretino, Cretino. Tre volte cretino).

«Ma no, guarda, mia madre mi ha soltanto raccontato che la nonna, tanti anni fa, mentre spacciava sigari per le strade della capitale dello Stato caraibico, una calda mattina d’agosto, vestita di un fazzoletto in testa e una lunga canotta di cotone verde pastello, incrociò lo sguardo del generale Castro che passava a piedi scortato dalle sue guardie e da una parte del suo esercito militare. Lei abbassò gli occhi. In segno di devozione. Lui si fermò. E con lui tutto l’esercito. Restò a fissarla per alcuni secondi e diede mandato al suo fedele capitano di accompagnarla a comprare dei vestiti nuovi e la invitò la sera a cena al Palazzo Presidenziale. Fu una cena deliziosa e, mia nonna, all’epoca si usava così, come forma di rispetto e gratitudine, e anche perché a Cuba tutti adoravano e adorano tutt’ora Fidel Castro, e anche le lo adorava, restò lì tutta la notte. Poi, dopo qualche giorno la nonna dovette partire improvvisamente per l’Italia, a causa della morte prematura del fratello, che era in trincea in Albania con l’esercito italiano. Non tornò a Cuba e non vide mai più il suo caro Fidel.»

«Che storia romantica…Comunque io adoro la salsa.»

«Ah si, anch’io.»

(Si. Si, come no).

Giovanna inizia a ballare da sola. Io la ammiro stupito e anche alquanto eccitato…

Flette e distende le ginocchia lentamente. L’anca scende. I fianchi fanno su e giù. Mamma quanto è attraente.

Sudo. Si avvicina a me. Si struscia e mi vorrebbe trascinare nella danza. Mi dice che nei balli latini non è tanto importante quello che fai ma come muovi il tuo corpo per farlo. Che bisogna lasciarsi andare…

Okay. Mi lascio andare. Faccio un lungo respiro. La fisso negli occhi e mi lascio trasportare dal ritmo. Alla prima pausa le faccio fare un giro su sé stessa, prima la stringo a me da dietro e poi, in un attimo, la riafferro, la rigiro, la arresto con giustezza e ci ritroviamo inevitabilmente faccia a faccia. Vicinissimi. Le nostre labbra si sfiorano appena, e sento un vortice caldo dentro di me.

Iniziamo a baciarci, e proseguiamo fino alla fine del disco made in Avana. Ho voglia di lei. Intravedo il reggiseno di pizzo e tulle. Vorrei strapparglielo a morsi. Ma non è ancora il momento. Non voglio affrettare le cose.

Ore 16. Sono volate tre ore. Alla fine non abbiamo più pranzato. La fame è passata. Ci siamo nutriti l’uno dei baci dell’altro.

La saluto.

Mi saluta e se ne va.

Continua…

Tratto da “Solo io”

di Daniele Urciuolo

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