Quando si dice fortuna. Nel senso latino del termine, cioè “sorte” sia buona che cattiva. Fu sfortunato San Biagio, a cadere martire tre anni dopo la concessione della libertà di culto ai sudditi dell’impero. Ma fortunato a dare il nome a uno dei luoghi più deliziosi al mondo: la masseria “Santu Lasi” a Salve, immersa tra gli uliveti del Salento a due passi dalla sua punta estrema. Se siete da quelle parti, e non avete mai partecipato alla festa di Santu Lasi alla masseria, precipitatevi lì domenica prossima 3 febbraio alle ore 12. Vedrete la benedizione dei pani di San Biagio provenienti da Ruvo di Puglia (in forma di pastorale, mano, pesce, etc.) e l’inaugurazione della mostra “€œTrafori e trasparenze. L’arte del ricamo agli inizi del Novecento”. Ma soprattutto conoscerete il padrone di casa di quell’universo in miniatura, se non lo conoscete già: si chiama Vincenzo Cazzato, è architetto e s’interessa di giardini e di storia del paesaggio, quando riesce a non preoccuparsi della sua masseria. La mostra sui ricami l’ha pensata lui quando ha trovato antichi capolavori e riviste nei bauli di famiglia. Negli anni passati ha messo in piedi mostre sull’iconografia del santo e l’importanza dei suoi pani, sempre per la festa del 3 febbraio. Ma soprattutto è riuscito a portare una mare di gente alla masseria, il dì della festa: c’è la santa messa nella cappella, la benedizione dei pani, la banda che suona. C’è tutto il paese in festa, proprio lì a casa sua, in quel cortile piccolissimo che pare una piazza immensa.
Non è una casa qualsiasi: è una porta magica per un viaggio in un tempo da favola. E’ un complesso di edifici piuttosto piccolo, nulla a che vedere con le masserie oggi di moda. Fu costruito nel Cinquecento e poi ampliato e perfezionato col tempo, con fortificazioni sempre più efficaci. Gli ultimi lavori li ha fatti Vincenzo e non termineranno mai, perchè il suo è un restauro “leggero” fatto di controllo costante e risistemazione continua dei dettagli. I muri di cinta sono rigorosamente a secco, e ovunque si è sistemato e ricostruito con i materiali antichi. Certo, Vincenzo si è dovuto adeguare ai tempi, e ha ricavato piccoli appartamenti da ogni edificio: oggi si può abitare anche nella colombaia, nella stalla, nella mangiatoia. Ma gli impianti non sono invasivi e ogni particolare è curato, pensato, modellato dal tempo. Persino i pochi mobili sono costruiti a mano usando quel che si trovava lì attorno. Lì dove c’è il Salento più vero fatto di terra, ulivi, pietre. La masseria occupa un’altura e lo domina tutto. Da lì lo sguardo spazia all’infinito, anche se lì persino l’infinito è a misura d’uomo. Persino il mare. Non spaventa, è domestico. Perché basta abbassare lo sguardo e posarlo sui muri, le aie antiche, la pajara, il viale segnato da pietre che paiono antichi menhir (e forse uno lo è davvero), per intuire che ovunque c’è un ordine, un pensiero, uno scopo. Che lì Santu Lasi – in ogni pietra incisa, nicchia, muro o tegola – c’è davvero.
Effe