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Domenica d’agosto (1950)

Creato il 24 agosto 2013 da Af68 @AntonioFalcone1
Luciano Emmer

Luciano Emmer

Luciano Emmer (1918-2009) è stato tra i più validi registi e sceneggiatori del cinema italiano, la cui produzione meriterebbe un esame più approfondito, in particolare riguardo l’ efficace capacità di visualizzare le genuine emozioni di gente semplice, appartenenti al proletariato urbano e alla piccola borghesia, le cui storie sono generalmente destinate ad intrecciarsi, nella condivisione di attese, bisogni, sentimenti. Non manca nelle sue opere uno sguardo concreto, sospeso fra curiosità e sospetto, rivolto alle novità della società postbellica, anche in termini di mutati valori, nell’evidente antinomia tra un passato sulla via d’essere dimenticato e il nuovo che si fa avanti. Come avvenne per altri registi (il pensiero va a Due soldi di speranza, Renato Castellani, ’52) per definire la sua produzione fu coniato il termine, piuttosto sbrigativo, di neorealismo rosa, in quanto, anche se veniva mantenuto uno stile documentaristico, rivolgendosi più a “volti presi dalla vita” che ad attori professionisti, le problematiche sociali costituivano lo sfondo ai problemi sentimentali delle persone, i quali restavano dominanti.

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Senza indulgere in moralismi o vezzi stilistici che non fossero volti alla funzionalità narrativa più pura ed essenziale, evidente richiamo alla formazione documentaristica (attività che, a partire dagli anni Quaranta, in collaborazione con Enrico Gras, si concentrò sulle opere d’arte di pittori quali Giotto, Leonardo, Goya, Picasso), Emmer riuscì a portare sullo schermo, sin dal suo primo film, Domenica d’agosto, i prodromi della commedia di costume, ancora non propriamente “all’italiana”, anche per via di un’ironia un po’ indulgente, ma capace di focalizzare la “banalità del quotidiano”: venivano messe a nudo la complessità e l’ambiguità della vita, sottolineando con humour garbato e sottile l’ “eroismo” della gente comune, di quanti lottano per dare un senso alla propria esistenza.

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Nella sua filmografia vi sono titoli come Parigi è sempre Parigi, ’51, film- lancio per Lucia Bosè, racconto di una gita di persone di modesta estrazione sociale alla scoperta dei luoghi comuni sulla “città del peccato”, come veniva vista ai tempi; Le ragazze di Piazza di Spagna, ’52, attenta e minuta osservazione di un mondo femminile in via d’evoluzione; Terza liceo,’54, garbata commedia sull’ultimo anno scolastico di un liceo classico romano, esplorazione degli amori di giovani borghesi; Camilla, la scalata sociale di una famiglia borghese vista con gli occhi semplici e il cuore puro di una domestica; il controverso La ragazza in vetrina, ’61, storia di un minatore italiano che ad Amsterdam si innamora di una prostituta, le cui noie con la censura portarono il regista ad abbandonare momentaneamente il cinema. Emmer, autore anche della sigla del primo Carosello e regista dei relativi sketch volti a reclamizzare i vari prodotti, girò i suoi ultimi film tra il ’90 e il 2003 (Basta, adesso tocca a noi; L’acqua … il fuoco), ancora pregni del suo stile ma ormai lontani dai problemi di un’ Italia profondamente mutata tanto dal punto di vista antropologico che sociale.
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Sceneggiato dallo stesso Emmer (insieme a Franco Brusati, Giulio Macchi, Cesare Zavattini, su soggetto di Sergio Amidei), Domenica d’agosto presenta una struttura narrativa inconsueta per l’epoca, sicuramente innovativa, più episodi sviluppati in parallelo l’uno all’altro destinati ad incrociarsi fra loro, nel tentativo, riuscito in parte, di dar vita ad una commedia corale: Roma, domenica 7 agosto, San Gaetano. Una composita umanità sta per lasciare la capitale, intenta a dirigersi verso il mare di Ostia, con i mezzi più vari. L’autista Cesare Meloni (Andrea Compagnoni) insieme alla moglie Fernanda (Ave Ninchi) e la numerosa famiglia al completo, fra cui la figlia adolescente Marcella (Anna Baldini), stipata nell’asmatica vettura di piazza insieme a masserizie e pietanze; il giovane Enrico (Franco Interlenghi) è pronto ad inforcare la bicicletta insieme ai suoi amici; Alberto (Emilio Cigoli), vedovo, e la sua attuale compagna Ines (Pina Malgarini) stanno invece per salire sul treno, insieme alla figlia di lui, Cristina, da affidare ad una colonia estiva; Luciana (Elvy Lissiak) attende l’arrivo del corteggiatore Roberto (Massimo Serato), che giunge in fuoriserie, lasciando di stucco l’ex fidanzato della donna, Renato (Mario Vitale), disoccupato e con trascorsi da prigioniero di guerra, costretto invece a restare in città, così come il vigile urbano Ercole (Marcello Mastroianni), intento a risolvere i problemi legati all’ormai prossimo matrimonio con la domestica Rosetta (Anna Medici), incinta e in procinto di essere licenziata dalla famiglia presso cui presta servizio. A molti di loro, una volta che la giornata festiva volgerà al termine, il destino riserverà una serie di sorprese, nuove consapevolezze o un ritorno sui propri passi …

Anna Baldini e Franco Interlenghi

Anna Baldini e Franco Interlenghi

Emmer, avvalendosi di uno stile a metà strada fra il documentario e il servizio di cronaca, visualizza un paese che sta per risollevarsi dall’incubo della guerra ed è pronto ad accogliere il nuovo, con tutte le sue implicazioni contraddittorie nel mutamento dei costumi che troveranno terreno fertile nell’ormai vicino boom economico: in un sol colpo s’introducono nel cinema italiano il film d’ambientazione balneare, certo lontano anni luce dalle imitazioni che verranno in seguito, fra casarecci pruriti erotici ed operazioni nostalgia, il suddetto intreccio di più episodi paralleli (piuttosto “agile” il montaggio di Jolanda Benvenuti, che incrementa la già notevole linearità della narrazione) e la commedia di costume innestata su una linea neorealista, come testimonia la scelta degli attori, improntata alla copresenza di volti noti (Ave Ninchi, splendida matrona di borgata, Cigoli, celebre in particolare come doppiatore) ed altri sconosciuti o comunque al loro esordio (Mastroianni, curiosamente doppiato da Alberto Sordi) e in ascesa nel percorso attoriale (Interlenghi, reduce da Sciuscià, ’46, Vittorio de Sica).
Anna Medici e Marcello Mastroianni

Anna Medici e Marcello Mastroianni

Una pellicola ancora oggi fresca e deliziosa, dove la macchina da presa si nota appena, per una naturalezza di ripresa che diviene quasi pudica nel passaggio verso i primi piani, ma capace di rappresentare con estrema efficacia una sorta di sospensione temporale fra un doloroso passato ancora vivo (il riferimento alla prigionia di guerra, il cartello “zona minata” ) e la spensieratezza delle famiglie alla ricerca anche di un solo attimo felice, tra i primi balli moderni, pentolate di pasta, fiaschi di vino e frittate, l’ abbattimento ingenuo e simbolico da parte di Marcella e Enrico della barriera, con tanto di reti metalliche, fra i lidi popolari e quelli borghesi (dove si pranza al ristorante), nel fingersi ricchi per poi riscoprirsi abitanti dello stesso condominio a fine giornata. Non manca uno sguardo impietoso ad un certo modo di fare cinema, immutato negli anni (un attempato nobile in disarmo improvvisato produttore e incline a vagliare le capacità recitative delle fanciulle col tristemente noto “provino”), e un sottofondo musicale che alterna canzoni di Villa e Rondinella ai primi slogan pubblicitari, urlati via radio.
Ave Ninchi

Ave Ninchi

Un affresco prezioso, un documento d’epoca sempre valido, una delle pellicole italiane passate che prediligo maggiormente, e qui subentra il cinefilo al critico cinematografico, proprio per il suo cristallizzare un’ Italia genuina e ruspante, consapevole delle tante difficoltà ma capace di fare leva sulla consapevolezza delle proprie forze più autentiche e su una coscienza ancora pura, in attesa d’affrontare un percorso che nel corso degli anni, fra pacche sulla spalla autoassolutorie, demandare ciecamente ad altri il proprio destino, smarrimento d’identità, perdita di memoria e ideali pronto uso, la porterà a raggiungere più di un traguardo, ma sempre in bilico tra evoluzione ed involuzione, ciò che poteva divenire e ciò che è diventata.

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