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Domenico Cipriano - Il centro del mondo, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse


Domenico Cipriano - Il centro del mondo, Transeuropa, 2014Domenico Cipriano - Il centro del mondo, Transeuropa, 2014

Il centro del mondo , di Domenico Cipriano per i tipi editoriali transeuropa, 2014, è un lavoro poetico che rivela notevole carattere lirico. Le sette sezioni della raccolta si insediano nella mente del lettore, e, una dopo l’altra, vengono ricongiunte all’unica fonte inesauribile: la natura. È nella propria terra che sono riconoscibili le profondità dell’esistenza e dell’interrogazione dei paesaggi. In questo senso la terra/paesaggio/casa parla ed è strumento incarnato che respira, che si inquieta. La bellezza del verso è imbastita dall’ispirazione che nasce e si rafforza quando il poeta osserva e celebra il mondo dall’orizzonte e, contemporaneamente, dal centro di ogni cosa. Gli elementi individuali si arricchiscono di potenza originale e diventano preziosi nel momento in cui l’occhio dell’autore allontana gli orpelli superflui dei pensieri e ricerca la castità della parola. La consapevolezza dello scavo e la prospettiva simbolica contribuiscono a dare coscienza allo stile linguistico asciutto e conversevole mi soffermo e scruto/la piazza dal basso. L’autore si immerge nel tempo e lo attualizza in quesiti e risposte: nell’esperienza del viaggio poetico Domenico Cipriano propone testimonianze della nostra vita capaci di cambiare gli scenari e le ambiguità delle percezioni. Gli sfondi naturali/naturalistici trasformano la poesia in un percorso etico, in un nuovo luogo in cui l’idea si integra alla parola, al suono, al significante. Il dolore, ogni esiguità storica, viene espresso come un invito a essere nel mondo in modo attivo e visionario. I territori, intimi/sociali e ideali, sono guidati da toni e da immagini di estrema sensibilità, comportamenti energici collocati sullo sfondo del passato/presente perduto e desiderato - mutando i colori ricordi/che tornerà settembre. In questo libro i sentimenti e la razionalità intrattengono la realtà che instaura un rapporto di complicità con le pulsioni arcaiche; infatti le ansie e le rassicurazioni contornano la vitalità delle strade in cui la vocazione di chi scrive trova dimora, in ogni caso, permanenza. (Rita Pacilio)


(a mio padre)

Si è raggrumata in sogno
la sequenza dell’adolescenza

noi due seduti: tu intento

a leggere il giornale, io
un libro, cogliendoci nelle parole,

fermando quell’istante quotidiano
complici gli odori della casa

il calore della stufa a kerosene
e il velluto a scacchi delle poltrone.

Mi hanno sorpreso di notte

in un sobbalzo della mente
che si concede raramente indietro
scompigliando gli anni

alla memoria senza grandi eventi:
quella necessaria, e più segreta.

*****

È facile abbracciare una figlia
bisognosa del tuo sostegno fragile

coccolarla nella sua leggerezza, lo stesso l’amata
a cui ti doni e prendi l’amore con dolcezza.

Alla madre che ti ha cullato in grembo

dichiari il bene dentro (lentamente), è difficile

stringerla e rigenerarti nel suo affetto,

serrare in quell’attimo ogni fondamento

che la memoria percorre e il pudore non rivela.

L’amore naturale di figlio che diviene padre difensivo

si nutre segreto: raramente stringe il corpo
di chi il corpo gli ha donato.

*****

(a Cosimo)

Esistiamo perché mutiamo. Il corpo
si trasforma con il tempo, così la voce
.....

e l’odore che tutto dice. Conserviamo
poco, diamo segno di noi

nel pensiero che si evolve, nelle azioni

che si alternano, confondendo
.... i colori che la pelle mostra, variando i suoni

che all’istante diventano parole.

Se c’è una storia da ricomporre

(pezzo a pezzo) è nel modificarsi

delle orme che tracciamo. Così,

solo le cose ferme ci ricordano

dove siamo già esistiti,

anche se il vento cerca di mutarne le sembianze

con la polvere che accumula

in forme disadorne.

Continuiamo a dirci vivi

ostinandoci a non apparire uguali

e questo morire eternamente

è il volto stesso che la vita ci consente.

*****

Fiore senz’acqua

Ti regalo un fiore
senza strapparlo alla terra

né chiuderlo in un vaso.

Un fiore di ferro che duri

al tempo, con petali inossidabili,

foglie immobili e variopinte
rughe intersecate sullo stelo.

Ma annaffialo dal rubinetto

costruito al centro perché

la ruggine rinnovi sulla pelle
.....

e mutando i colori ricordi
..... che tornerà settembre.

*****

C’è il buio tra partenza
e arrivo, il nero privo

delle luci. Un vuoto

da colmare col pensiero

in cui disegno una candela,

così chiudo la notte

nella cera e il freddo

ne custodisce la forma.

Domenico Cipriano è nato nel 1970 a Guardia Lombardi, in provincia di Avellino. Già vincitore del premio Lerici-Pea per la poesia inedita nel 1999, ha pubblicato la raccolta Il continente perso (Roma, Fermenti, 2000; 2a. ed. 2001), con introduzione di Plinio Perilli e nota del musicista jazz Paolo Fresu. (libro vincitore del premio Camaiore “Proposta” 2000 e segnalato al premio Eugenio Montale 2000). Sue poesie sono apparse su riviste, antologie e collettive. Nel 2004 ha pubblicato il CD di jazz poetry Le note richiamano versi (Abeatrecords, 2004) con l'attore Enzo Marangelo e i musicisti Enzo Orefice, Piero Leveratto ed Ettore Fioravanti. Con Transeuropa (Massa) ha pubblicato Novembre (2010), silloge dedicata al terremoto dell'Irpinia del 1980, e Il centro del mondo (2014).



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