*
il chiaro non è la luce,
ma la sua percezione. facile
sarà allora ricordare il rosso –
una palla, un fiore, se
lo sfondo era nivale
di bianco e albedo
*
quasi che non fosse a prevalere
quel rosso, ma quell’essenza nivale
d’annientamento del resto, quell’intermittenza
dei sensi, che di rimozione in coscienza
favorisce il dettaglio a scapito della coerenza
*
così un certo bias induce
a favorire questo oggetto, non quello,
secondo eterogenesi oscure
=
siamo ciechi della gran parte
di mondo di cui pure facciamo parte
pubertà
su povero ciottolato ero
un cazzo sempre duro
e con la punta segnavo
la polare – contrabbandavo
e non sublimavo, sbrodolavo certa
virilità giù giù per le gambe (non
che ne fossi fiero), dietro
l’incavo dei ginocchi. poi
avvenne che segnacoli
furono peluria, il volto
spolverizzato di polline
staminale: e gli stami,
infatti, veleggiavano, superbi.
- nicturia, e ne fui
inquinato, e le polluzioni
indicavano la perentorietà
di Natura – Tu devi! mostrai la
cervice, mi irrigidì tutto ed esplosi dal cazzo
un nugolo di semi, e anche le vertebre a pioli esposi – prego, salite
curriculum
dovrei forse ho deciso di ecco che
ah bene non bene proprio veramente poteva
non vedo perché meglio ecco potrei
abbiamo avuto un riarmo ecco un suono
non vedo come peggio ho avuto
non proprio come avrei voluto cambio
si va sempre non mica ben potuto
non ecco proprio come avrei
strazio si cresce un po’ si svolta
poco declina piano si va giù
siamo tanti giù c’è da fare
non posso corde ordalia non
proprio bello fatto accumulo
facce non bene – non faccio
religione
si concretizza la polvere, si sgrana
il mantice, non voglio questo
sia Io: perché ho visto già
simulacri altri svellere anime
pure, non voglio capiti anche, non
vorrei capitasse anche a me - ecco che svelle
i rimasti in piedi i pochi
mobili, poco rimane se non la
voglia di incasellare e ordinare,
monterozzi di merda mettere su: bisogna
che sia robusto, e credere
nell’avvenire di un’illusione… – e
una forza che si pretende
però è troppa, non l’ho! non ho che questa
di mani sclerotiche e piedi
a spingere passi sotto ombre,
sotto cui si attende, anzi non.
- sono muri non rovi,
e attendere, e attendere chi? è ottobre
e pochi mi corrono
dietro, pochi ancora
mi si affiancano
compassione
non si aspetta l’orizzonte,
ma si guarda per nulla stupefatti
la luce che sfiocca giù dalle
lanterne flebili e un vecchio sotto
un porticato, le braccia trapunte di
vene: chiede un poco d’aiuto, io
passo diritto stranito, che vuole lui spassarsela
alle mie spalle? – lavoro, io,
e ci vada pure lui, robusto com’è! tuttavia, credo che già
altri se ne occupino, i volenterosi…
[ah, la morte che elargisce!
eccome!, ah!, ché quella micragnosa non
è, dà tutto lei, pure il superfluo,
lei: la grassa]
preparativi per una battaglia
non passa giorno che
non sia solo io frequento molta gente.
baci sono schiocchi sulle guance
sudate saline belluine lascive
di silenzi, i soliti, i sociali,
i civili, gli aperitivi, i saldi, le compulsioni,
i sorrisi… non si direbbe
che la guerra si addica però al tempo
nostro, di pace, a questi passi
passati a non essere, e passare…
per questo mi compro un vestito, mica per
bisogno, fa nulla, l’economia gira, e deve – è giusto.
anche le commesse, pure loro, poverine… sono pronto io
per quelle a immolarmi il
portafogli: ai ninnoli il mio poco.
[un campo, vi prego, un campo di battaglia
ci vuole, lo voglio - non sopporto questa pace]
claustrum
nello stretto, si direbbe claustrale senza
male, sono occhi invadenze occhiute invasive,
stetoscopiche, sono endoscopie, paratie,
atopie, non toccarmi, brucerei, contami
neresti questo chiarore albale virginale, l’imo-imene
sfondato, le braccia in membra sbrecciate, fisting, trafitte
compunte di solitudine, sfondata la carne acuminata
in borsa di tabacco, suturata, stupefatta; non toccare la pelle,
non premere-spremere polpastrelli belluini, rimarrebbero segni violacei
edematosi, non passerebbero mica i pizzicotti con gli impacchi e i decotti
d’erbe e rizomi d’ammollo [lontano stammi non dice però lo stame al pistillo florale]
osservazione
da dietro lo schermo, lo iato
tra me, il fuori ed altro
che so e non so definire da
dentro: un terzo me, frammisto in
colloide, agli occhi immobile,
in stasi. la gamma cromatica mista,
policroma, in mescola e crasi,
dovrebbe risolversi per meglio
mostrarsi in singole componenti
monocrome. sembra e non è
stante, immota…
… senz’altro l’osservazione di un altro
potrebbe risolvere la
policromìa: se non che ognuno contamina
di sé la vista, nella definizione
di antinomìe. [su questa base, sul bolo
che ne rimane, basiamo l'analisi
del reale]
osservazione 2
si erano dette un sacco di cose del tipo:
ci sarà molto tempo per ecc. oppure:
vedrai che, se cercherai, troverai;
infine: l’amore salva. quella voce
interna sembrava vera, sostanza
assonante con certa realtà…
… non che non la fosse; era soltanto
falsa la realtà, la percezione di questa,
essendo questa lontana, ridicolmente creduta
oggetto d’indagine trasparente:
ma gli occhi, lo sai, non vedono nell’infrarosso
entropia 2
sono lacci che mi inchiodano;
non più capire ma assecondare
- la deriva;
come può capire sé stesso
sugli occhi un velo,
un’eco geometrica…
… quanto spazio crepato
sul soffitto: è affiorato
un po’ d’umido, là
stilla sul pavimento.
che buffo: crepano
le mura, pure si diramano mirabili
le vene, sfioccando in proiezioni
che si insinuano lente
pazienti e forti
sulle cute e il derma crepati
anch’essi, ridicolmente - quasi morti
staminalità
voglio essere tutto: sarò
schiacciato. vòlano
queste foglie che
ingialliscono sotto il peso
del disfacimento entropico,
così, senza remore,
inscenano per me,
sostanziano la mia perpetua, cocciuta voglia
di nullificazione