Domenico Quirico è tornato in Siria, due anni dopo la fine del lungo rapimento in quel Paese: 155 giorni in mano agli estremisti islamici. Voleva tornare per vedere, capire e raccontare cos’è rimasto di quella terra. Il suo è sempre un racconto attento, personale, intenso. È entrato in Siria dal Libano: alla frontiera si è trovato davanti a questa scena:
Nel comando delle guardie, lustre divise nere aquile d’oro sulle spalline, quando digitano il mio nome sul computer, compare, sinistramente lampeggiante, una scritta rossa. Gli sguardi dei soldati si fanno di colpo scuri, ostili. Un tonfo sanguigno della memoria, come quando un gesto, un oggetto sommerso nelle alghe del passato, riappare nella sua verità di forme e paura. Lunghe telefonate, poi, provvisorio, cade il tampone liberatore sul passaporto
la seconda parte del reportage di Domenico Quirico dalla Siria. Il nostro inviato è tornato nei luoghi del suo rapimento durato cinque mesi, ha ripercorso le tappe di quel calvario e ha trovato la casa dove era tenuto prigioniero. Scrive Quirico: «Qui sentivo insieme dalla mia cella le campane della chiesa e gli appelli del muezzin. Non so verso cosa inclinare, amo tutto questo con rimpianto, amo con ferocia e non perdono alla Siria di avermi costretto a dei sentimenti fra i quali non mi è consentito scegliere».Sorgente: La cucina della Stampa