Daniele gestiva il tutto da sé nel 1983, in pieno stile e modus operandi DIY (do it yourself), libero da schemi o stili provenienti da piccole etichette discografiche, seguendo la propria ispirazione.
Ecco un altro esempio di autoproduzione e controllo completo sulla realizzazione dell’opera musicale, tipica degli anni ’80 e che vale la pena di ricordare.
Domanda: Ci puoi raccontare come nacque Domestic Exile?
Risposta: Dopo molte partecipazioni ad audiozines e compilations, in Italia e all’estero, ho avuto voglia di misurarmi con un lavoro interamente mio. Sempre nello stesso 1983 avevo realizzato anche una puntata della trasmissione Fonosfera di Armando Adolgiso a Radio Rai nella quale avevo presentato il mio lavoro Immagini dal disastro - 8 polaroid sonore. Inoltre avevo iniziato la collaborazione con la trasmissione radio Welcome to the Indies di Maurizio Masi su l’allora emittente radiofonica Radio 100 fiori di Firenze. Domestic Exile porta più in alto la mia voglia crescere.
D: Domestic Exile sta per Esilio Domestico, in titolo forte.
R: Si, purtroppo si. Dico purtroppo perché il lavoro è nato in un periodo della mia vita duro e difficile. Un momento segnato da una frattura col mondo. Da qui il titolo del lavoro.
D: Daniele, ci piacerebbe sapere se ci furono delle situazioni o delle fonti che ti ispirarono.
R: Sinceramente non ne vedo. Desideravo lavorare con alcune sonorità precise: una ritmica industrial opposta ad una linea rarefatta, un po’ “giapponese,” unita a suoni dilatati.
D: La parte sonora e’ dedicata all’esser soli, come fluiva questo stato d’animo nei brani?
R: Tra vita e musica non credo esistano separazioni. I miei momenti di critica e di opposizione ad un certo panorama culturale e politico hanno preso la forma di un suono industriale fatto di rumori cupi, suoni pesanti e ritmi martellanti. Domestic Exile riflette invece un momento di arretramento, di arroccamento dentro le mura di un animo stanco. Non l’ho costruito a tavolino per sonorizzare un vuoto. Ho semplicemente preparato delle basi ossessive sulle quali ho innestato lunghi e profondi suoni ottenuti filtrando tutti gli strumenti disponibili. Salvo un brano, il cui tema l’ho scritto dopo alcuni tentativi, tutti gli altri sono improvvisati sul momento. Riascoltandolo oggi credo si percepisca bene questo aspetto naif. Però mi sono divertito e ho tirato fuori qualcosa di molto vicino al mio ritratto interiore di quel momento.
R: Le cartoline sono foto che ho scattato ad alcune case liberty di Firenze. Ho scelto quello stile perché corrispondeva a quel senso di mistero e di isolamento che volevo caratterizzasse tutto il lavoro.
D: I brani sono strumentali, otto paesaggi sonori.
R: Sono altrettanti stati dell’anima. Otto “variazioni sul tema” scivolosissimo dell’isolamento.
D: Puoi dirci qualcosa sulla strumentazione elettronica che impiegasti?
R: Il lavoro è frutto di un poverissimo bagaglio tecnico. Le basi sono state realizzate grazie all’aiuto di Maurizio Fasolo dei Pankow che ha fornito drum machine e bass line. A questi ho aggiunto un synth e una chitarra elettrica. Ho completato il tutto con strumenti infantili opportunamente trattati. Secondo l’uso del tempo ho improvvisato su una base pre-registrata nella mia stanzetta-officina.
D: … la tua stanzetta-officina… Puoi dirci qualcosa in più?
R: Era una piccola stanza dove mio padre disegnava tavole tecniche e progetti per l’installazione di turbine idrauliche. Chissà che l’attrazione per la musica industriale sia nata da un genius loci che abitava quella stanza? Alla sua morte è diventata il mio rifugio, il luogo dove leggere, scoprire e divertirmi. Successivamente ne ho tappezzato una parete con manifesti del Maggio Francese e un’altra con Lenin, Marx e “Che” Guevara. Infine l’ho vuotata e ci ho installato i pochi strumenti che avevo e, in quello spazio vuoto, ho cercato da dare un suono al mio spirito.
D: Dalle ricerche che abbiamo effettuato avevi anche collaborato con Vittore Baroni al progetto TRAX e all’installazione/cassetta/box NOTTEROSSA.
R: Il rapporto avuto con TRAX è stato stretto. La novità dell’idea che stava alla base di TRAX era legata alla sinergia, all’interazione fra i diversi partecipanti. Una sorta di “rete prima della rete”. Si superava cioè l’asettica sommatoria della compilation per arrivare ad un prodotto dove le tracce erano l’unione effettiva di sensibilità diverse.
D: Sempre in quegli anni presero piede vari forme di musica ‘elettronica, ambient – isolazionista, simile alle tematiche che ispirano Domestic Exile, potresti essere considerato per certi aspetti un pioniere?
R: No, penso proprio di no.
D: Un aspetto interessante fu che i costi divennero finalmente accessibili per la strumentazione elettronica di base, si può dire che grazie a questo nacquero e si diffusero rapidamente migliaia di autoproduzioni su cassetta?
R: In quegli anni la strumentazione elettronica è andata ad affiancare massicciamente quella tradizionale così da allargare notevolmente il panorama sonoro e conseguentemente il numero delle autoproduzioni. Ma più di questo aspetto mi piace pensare a come certi musicisti e certi gruppi hanno saputo usare poche e scalcinate sorgenti sonore per dar vita a interessanti produzioni nelle quali una forte creatività ha saputo tirar fuori un suono originale dal minimo disponibile.
D: Domestic Exile fu autoprodotto con una tiratura di 500 copie, raccontaci della distribuzione.
R: Ho distribuito tutte le copie in poco tempo. Usando il servizio postale le ho proposte in vari paesi e a vari distributori. A seguito del loro ordine e del loro pagamento ho inviato la quantità richiesta. Semplice, efficace, diretto.
R: Come la registrazione anche la confezione era molto artigianale. La busta in plastica veniva acquistata in un ingrosso di articoli per ufficio e la copertina-volantino era prima realizzata graficamente con un collage su cartoncino e poi duplicata in copisteria. Anche il set di cartoline seguiva lo stesso processo. Per il nastro la cosa era più complessa perché si dovevano acquistare da una ditta le cassette fatte appositamente della lunghezza giusta (C30) e poi duplicarle. E lì era dura. Generalmente il sistema più usato consisteva in una catena di registratori che partendo da un master su bobina scendeva a cascata verso altri registratori, questi a cassetta, messi in serie. Un marchingegno degno dello studio del professor Frankenstein
D: Un altro aspetto importante per far conoscere le autoproduzioni era il passaparola oppure …
R: … … oppure poco altro. Le recensioni erano rarissime e le opportunità per portare in superficie l’autoproduzione ancor più rare e legate alla definizione di una mappa di contatti tutta da scoprire palmo a palmo.
D: Perche le riviste musicali da edicola, penso a Rockerilla, dedicavano poco spazio alle autoproduzioni?
R: Forse perché il mercato della musica indipendente era ininfluente dal punto di vista commerciale e di classifica.
D: Domestic Exile fu pensato anche per delle esibizioni live?
R: Ero e sono ancora impreparato per una proposizione live della mia musica. Sono attirato e lavoro volentieri a sonorizzazioni di ambienti o eventi, a musica per video ma una dimensione live la escludo proprio.
D: In Italia e a Firenze durante gli anni’80 c’era una musicale indipendente molto viva, sia con i gruppi che con le fanzine, ci viene in mente FREE di Paolo Cesaretti, e tu c’eri.
R: La Firenze degli anni ’80 era una bella officina di creatività emergente; design, musica, moda attraversavano discoteche e gallerie in una girandola di eventi e spettacoli. In questo scenario anche il panorama delle produzioni indipendenti faceva sentire la sua voce e FREE .ne ha rappresentato il lato più raffinato, sia musicalmente che graficamente. Il lavoro che ho fatto io era più ruvido esplorando i territori più inquietanti dell’industrial.
D: Come fu accolto Domestic Exile a Firenze e al di fuori?
R: Al tempo non l’ho nemmeno fatto circolare nell’ambiente musicale fiorentino. L’ho venduto in Italia ed Europa in breve tempo ma al di là di questo non ho fatto poi molto. Ero un pessimo agente di me stesso, troppo ripiegato dentro quell’esilio dal mondo.
D: Avevi contatti anche all’estero?
R: Ero in contatto con piccole etichette indipendenti, gruppi e distributori intercettati grazie a fanzine e compilation. Ho potuto così entrare in contatto con esperienze e produzioni diverse fra loro ma tutte accomunate dal desiderio della sperimentazione e da linguaggi comunque personali.
D: Domestic Exile è una tua produzione che proviene dagli anni ’80, però non ti sei fermato da allora. So che recentemente hai tenuto una esposizione – installazione presso una galleria fiorentina.
R: Lavoro all’Assessorato alla Cultura del mio Comune e, in passato, ho operato per vent’anni su terreni molto paralleli a quello dove avevo cominciato a camminare negli anni 80 così, per evitare una sorta di “conflitto d’interessi”, ho deciso di interrompere le mie produzioni.
Oggi, libero da quel vincolo, ho tirato fuori dal cassetto i vecchi giocattoli e ho ripreso il gioco da dove l’avevo abbandonato. Ecco quindi l’ EP Il bacio della sirena distribuito da alcune netlabel, seguito dalla installazione L’orma della sirena presso la galleria La Corte- arte contemporanea di Firenze dove foto e musica formano un racconto unico. Di prossima uscita un video con immagini della fotografa Fiorella Ilario e un remix del mio brano Pericoli nascosti.
Daniele Ciullini, Domestic Exile Cover tape c20, 1983, autoprodotta, contenente libretto e quattro cartoline.
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Side A
- Violet
- Marbles in a garden
- Trance
- Lipstick on the glasses
Side B
- Decadence
- Naked and white
- Flowers in the water
- The shadow whisper
Riferimenti
- Daniele Ciullini
- L’orma della sirena presso La Corte Arte Contemporanea a Firenze
- Per ascoltare e scaricare Domestic Exile andare su Venus+ On
- Articolo dedicato a TRAX – NOTTEROSSA
A cura di Enri1968 e Desbela.
Un ringraziamento speciale a Paolo C.