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Don Bosco 1815-2015: post #12

Creato il 15 febbraio 2015 da Tgs Eurogroup @tgseurogroup
Con il brano di oggi concludiamo la “Prima decade” (1825-1835) delle “Memorie dell’Oratorio”, il testo autobiografico di don Bosco che ci accompagna per tutto l’anno dedicato al Bicentenario della Nascita di don Bosco. Il giovane Giovanni Bosco si prepara per una scelta importante che riguarda la sua vocazione…
logo_bicentenario_don_bosco_2015_02Memorie dell’Oratorio
Scelta dello stato

Intanto si avvicinava la fine dell’anno di Retorica, epoca in cui gli studenti sogliono deliberare intorno alla loro vocazione. Il sogno di Murialdo mi stava sempre impresso; anzi mi si era altre volte rinnovato in modo assai più chiaro, per cui, volendoci prestar fede, doveva scegliere lo stato ecclesiastico; cui appunto mi sentiva propensione: ma non volendo credere ai sogni, e la mia maniera di vivere, certe abitudini del mio cuore, e la mancanza assoluta delle virtù necessarie a questo stato, rendevano dubbiosa e assai difficile quella deliberazione.
Oh se allora avessi avuto una guida, che si fosse presa cura della mia vocazione! Sarebbe stato per me un gran tesoro, ma questo tesoro mi mancava! Aveva un buon confessore, che pensava a farmi buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare.

Consigliandomi con me stesso, dopo avere letto qualche libro, che trattava della scelta dello stato, mi sono deciso di entrare nell’Ordine Francescano. Se io mi fo cherico nel secolo, diceva tra me, la mia vocazione corre gran pericolo di naufragio. Abbraccierò lo stato ecclesiastico, rinuncierò al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla meditazione, e così nella solitudine potrò combattere le passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore aveva messe profonde radici. Feci pertanto dimanda ai conventuali riformati, ne subii l’esame, fui accettato e tutto era preparato per entrare nel convento della Pace in Chieri. Pochi giorni prima del tempo stabilito per la mia entrata ho fatto un sogno dei più strani. Mi parve di vedere una moltitudine di que’ religiosi colle vesti sdruscite indosso e correre in senso opposto l’uno dall’altro. Uno di loro vennemi a dire: Tu cerchi la pace e qui pace non troverai. Vedi l’atteggiamento de’ tuoi fratelli. Altro luogo, altra messe Dio ti prepara.
Voleva fare qualche dimanda a quel religioso, ma un rumore mi svegliò e non vidi più cosa alcuna. Esposi tutto al mio confessore, che non volle udire a parlare né di sogno né di frati. In questo affare, rispondevami, bisogna che ciascuno segua le sue propensioni e non i consigli altrui.
In quel tempo succedette un caso, che mi pose nella impossibilità di effettuare il mio progetto. E siccome gli ostacoli erano molti e duraturi, così io ho deliberato di esporre tutto all’amico Comollo. Esso mi diede per consiglio di fare una novena, durante la quale egli avrebbe scritto al suo zio prevosto. L’ultimo giorno della novena in compagnia dell’incomparabile amico ho fatto la confessione e la comunione, di poi udii una messa, e ne servii un’altra in duomo all’altare della Madonna delle Grazie. Andati poscia a casa trovammo di fatto una lettera di D. Comollo concepita in questi termini: Considerate attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo compagno di soprassedere di entrare in un convento. Vesta egli l’abito chericale, e mentre farà i suoi studi conoscerà viemeglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun timore di perdere la vocazione, perciocché colla ritiratezza, e colle pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli.
Ho seguito quel savio suggerimento, mi sono seriamente applicato in cose che potessero giovare a prepararmi alla vestizione chericale. Subito l’esame di Retorica, sostenni quello dell’abito di cherico in Chieri e precisamente nelle camere attuali della casa Bertinetti Carlo, che morendo ci lasciò in eredità e che erano tenute a pigione dall’arciprete Can.co Burzio. In quell’anno l’esame non ebbe luogo secondo il solito in Torino a motivo del cholera-morbus, che minacciava i nostri paesi.
Voglio qui notare una cosa che fa certamente conoscere quanto lo spirito di pietà fosse coltivato nel collegio di Chieri. Nello spazio di quattro anni che frequentai quelle scuole non mi ricordo di avere udito un discorso od una sola parola che fosse contro ai buoni costumi o contro alla religione. Compiuto il corso della Retorica, di 25 allievi, di cui componevasi quella scolaresca, 21 abbracciarono lo stato ecclesiastico; tre medici, uno mercante.
Andato a casa per le vacanze, cessai di fare il ciarlatano e mi diedi alle buone letture, che, debbo dirlo a mia vergogna, fino allora aveva trascurato. Ho però continuato ad occuparmi dei giovanetti, trattenendoli in racconti, in piacevole ricreazione, in canti di laudi sacre, anzi osservando che molti erano già inoltrati negli anni, ma assai ignoranti nelle verità della fede, mi sono dato premura d’insegnare loro anche le preghiere quotidiane ed altre cose più importanti in quella età.
Era quella una specie di oratorio, cui intervenivano circa cinquanta fanciulli, che mi amavano e mi ubbidivano, come se fossi stato loro padre.

Giovanni Bosco, “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855″, con saggio introduttivo e note storiche a cura di Aldo Giraudo, Roma, LAS 2011.Link correlati:

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