Ogni termine di paragnone tra le due pellicole pertanto è da considerarsi assolutamente errato e privo di fondamenta, e non solo perché, a conti fatti, quella con Michael Fassbender era una sceneggiatura puntellata su livelli di drammaticità che quella scritta, diretta e interpretata da Joseph Gordon-Levitt non ha e non vuole nemmeno provare ad inseguire.
Le potenzialità, di certo, non mancavano, magari a mancare era una consapevolezza, quella di non rendersi conto di avere in mano molto più di ciò che a un primo sguardo, ingenuo, poteva sembrare. Perché nell'opera prima di Gordon-Levitt regista, messo in ordine sparso, c'è molto più di un protagonista egoista e montato che vorrebbe avere un sesso reale simile a quello che vede nei porno e c'è molto più della moralina zuccherosa e già sentita che ribadisce che fare l'amore significa sempre soddisfare prima l'altra persona e poi noi stessi. In ordine sparso in "Don Jon" ci sono due mondi che si scontrano con forza, ci sono due estremi che corrono contro corrente per avvicinarsi, nonostante sanno benissimo di non poterselo permettere a causa delle loro discrepanze personali. C'è un confronto uomo donna seguito da larga distanza, a volte visto in maniera un tantino superficiale, eppure divertente e mai troppo lontano da dinamiche realmente esistenti e con le quali ci si trova spesso in contatto. Ovviamente la commedia obbliga la dettatura di un linguaggio prestabilito e l'amplificazione è compresa nel pacchetto ma la distinzione dell'uomo che ama vedere i porno bilanciata alla donna che ama vivere nei film romantici, per quanto esagerata e assurda, da un senso di quadratura alle distanze che per antonomasia dividono antropologicamente i due sessi.
Togliendo di mezzo, dunque, il paragone (scomodo e inutile) con "Shame", e sottolineando quanto a volte avere al fianco una bomba sexy come Scarlett Johansson non sia per forza solamente rose e fiori, ci sentiamo di promuovere "Don Jon" con estrema riserva. Una riserva che speriamo il giovane Joseph utilizzi per analizzare al meglio il suo operato, per capire quanto buono ci fosse oltre ai concetti debolini da lui favoriti e arrivare, infine, a una maturazione successiva con cui andare a realizzare una seconda opera dallo spessore maggiore.
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