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Jeremy Leven, regista più o meno occasionale e sceneggiatore consolidato, ha messo su una favola d'amore di incredibile successo, una storia tenera e poeticamente ammantata di erotismo, dove la guida del giovane amante sulla "retta via", nel mondo dei sani, ovvero degli incapaci di sedurre, è uno psichiatra ormai prossimo alla pensione, che non sa arrendersi al suo prossimo ritiro dalle scene e a una vita solo con la moglie Maggie (Faye Dunaway). Mi sembra geniale l'intuizione per cui quest'uomo è interpretato da una delle forze seduttive maschili più celebrate della storia del cinema, vale a dire Marlon Brando, icona selvaggia degli anni '50 e dei decenni successivi. Sembra che qui si voglia passare il testimone, che attraverso quest'attrazione incontenibile, di quest'amore impenitente per il sesso femminile e le sue grazie, un'era del cinema e del mito prenda il corpo dell'immaginario più moderno attraverso l'irrequieto, proteico ed estrosissimo Johnny Depp.
Nel raccontarsi, questi due uomini soli tra le donne, con una donna da conquistare e da amare contro ogni seduzione e contro ogni probabilità di superarsi, si raccontano fuori dagli schemi. Lo psichiatra - il "vecchio" - si proietta nel mondo ossessivo e isterico del suo paziente per recuperarsi infine nella sua indagine; il giovane invece, attraverso la storia che il mondo racconta di lui, riesce paradossalmente a riscattarsi e a guadagnare la libertà di sprofondare in sé stesso e a non emergere più dalla storia che racconta di sé, che è la storia dell'unica donna che abbia mai amato. Infatti, quali altre storie si raccontano di essere questi due uomini? In questa rincorsa alla capacità e alla necessità di amare, si riconoscono e si superano l'un l'altro, l'uno verso l'incorreggibile e sublime discesa nell'amore, l'altro in un solare commiato, in un tuffo in un futuro del quale ormai disperava: con la moglie, al suo fianco, nella sua vita e non solo nella stessa monumentale e funebre inquadratura.
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