I ricordi di quei giorni sono così vividi nei miei pensieri che riesco ancora a percepirne suoni ed odori: la mia madeleine proustiana è il profumo della tarte tatin che compravamo ogni mattina in un minuscolo forno della Haute Ville prima di andare a scuola.
Non che fossero tutte rose e fiori però, anzi!
La leggenda metropolitana secondo cui in vacanza studio le “famiglie affidatarie” vi accolgono in ville bianche vista mare fu immediatamente smentita, ed io e la mia amica del cuore finimmo in un caseggiato popolare nella più remota periferia, a condividere in 8 un appartamento di 60 mq… ma non ci importava.
Eravamo così felici di quella ventata di libertà, lontane dagli orari rigidi e dai divieti della nostra adolescenza italiana, che trovammo in fretta il nostro equilibrio.
Poveri mamma e papà, se ripenso alla fiducia con cui mi misero su quel treno, confidando nel fatto che avrei trascorso l’estate sui banchi di scuola, perfezionando il mio francese e filando a letto ogni sera non più tardi delle 11!
Il mio francese in realtà migliorò pochissimo ma trascorsi un’Estate pazzesca.
Ricordo i pic-nic sui prati impeccabili del Palais des Festivals, le sognanti passeggiate lungo il boulevard de la Croisette e i pomeriggi trascorsi a chiacchierare tutti insieme su una spiaggia libera mentre l’accompagnatrice italiana che avrebbe dovuto sorvegliarci arrostiva al sole sulla chic-issima spiaggia del Martinez.
Ricordo i pranzi domenicali in campagna a base di poulet roti, a casa dei nonni acquisiti e le drammatiche avventure patite ogni sera per tornare a casa, in un quartiere snobbato dagli autobus di linea e di cui nessun taxista sembrava conoscere l’esatta ubicazione.
Ricordo le serate trascorse al cinema, il fascino che quelle sale super tecnologiche esercitavano su noi ragazze di provincia e il modo in cui ci ostinavamo a vedere thriller al cardiopalma con protagonisti feroci serial killer, incuranti del fatto che tra il capolinea degli autobus e casa nostra ci fosse un bel tratto di campagna buia e desolata da percorrere a piedi.
Ricordo lo shopping in rue d’Antibes e questo paio di shorts sdruciti acquistati per quella che all’epoca mi era sembrata una cifra folle.
Ricordo Frederick, il mio amore belga dai riccioli neri e dagli occhi di cerbiatto, che io e la mia amica conoscemmo molto romanticamente di notte e in mezzo ad una strada, caricati tutti e tre dallo stesso taxista per tornare a casa (se questo non è karma amiche mie…)
Ricordo che avevo addosso proprio questi jeans quando Frederick mi baciò per la prima (ed ultima volta) in una discoteca di Juan les Pins salvo poi “fidanzarsi” a fine serata con una brunetta che non solo era italiana come me, ma veniva pure dalla mia stessa città (anche questo deve essere stato karma… o meglio Destino Crudele!)
E ricordo come fosse ieri la sera del 14 luglio, quando vennero a trovarci i nostri genitori dall’Italia e ci portarono a mangiare crostacei sul lungo mare, e ci toccò fingere di essere allegre ed affamate mentre io avrei voluto solo chiudermi nella mia cameretta a piangere e ad elaborare il mio lutto amoroso, lontana dai fuochi d’artificio e dalle allegre orchestrine e dalle piazze piene di gente felice che ballava.
Non c’è niente al mondo di altrettanto melodrammatico di un’adolescente dal cuore infranto!
E per me non c’è niente al mondo di altrettanto dolce del ricordarmi dell’adolescente che ero.
Questo è il mio diario del denim per Don’t Cry e Telefono Rosa.