La Titolare, tredicenne, non era una persona particolarmente saggia. Se siete lettori abituali e date per scontato che nel corso degli anni non siano intervenute trasformazioni mentali eccessivamente spettacolose, l’affermazione non vi stupirà più di tanto. Se invece avete bisogno di prove ulteriori, lasciate che vi mostri ciò a cui reputavo fosse appropriato sottoporre le mie sopracciglia, all’epoca.
(Già che ci siete, potete anche farvi un’idea del perché le mie cotte dell’epoca fossero in massima parte assolutamente non corrisposte) (il mio attuale ragazzo, invece, ai tempi ha limonato tutte le sue compagne delle medie tranne due) (ho visto le foto, ed era precisamente il genere di ragazzino per cui sospiravo da giovinetta, se non che quando lui era in terza media io ero in seconda elementare) (fortuna che crescendo il divario si attenua parecchio) (e adesso è mio, mio, mio, mio) (ma non divaghiamo) (mio!)
Dicevamo, la Titolare era una tredicenne poco saggia, che non voleva fare il Classico -nonostante fosse palesemente portata- perché la gente che sarebbe andata a fare il classico era noiosa ed antipatica. All’esame di terza media, poi, per circostanze ancora tutte da chiarire, mi ritrovai nella possibilità materiale di suggerire il compito di matematica ad un mio compagno ancora più scarso di me, e lo feci. Venimmo promossi entrambi (io con Ottimo). Lui mi pagò da mangiare alla pizzata di classe, e io, corroborata da questo improbabilissimo risultato, mi iscrissi allo Scientifico (tra lo scuotimento di testa furibondo dei miei familiari).
Il primo voto che presi a settembre fu un 4– in Algebra.
Mi piacerebbe poter dire che fu un’anomalia statistica, ma dovrei glissare riguardo ad anni e anni di corsi di recupero e sufficienze mostruosamente risicate a Giugno, ed evitare di ricordare come la professoressa avesse preso l’abitudine di non chiamarmi mai alla lavagna, per paura che svenissi con il gesso in mano (lei era molto impressionabile, e io molto pallida ed emaciata).
Dovrei tacere del mio biechissimo presenziare (in compagnia di una manciata di altri disperati) alle nozze della professoressa in questione, nella più deprecabile manifestazione di servilismo insulso di cui mi sia mai resa colpevole.
Dovrei tralasciare di mettere per iscritto l’aneddoto che, quando lo racconto, suscita nei miei interlocutori lo stupore riguardo al mio essere in grado di compiere autonomamente i gesti della vita quotidiana, ossia il fatto che allo scritto della maturità io abbia copiato quasi integralmente da uno che ha preso il massimo e lo stesso sia riuscita ad incasinare il tutto fino a precipitare nell’insufficienza (“Giulia, allora, com’è andata?” “Benissimo, mamma, ho copiato da Tizio!” “Ooooh, meno male, brava”) (“Quanto hai preso, alla fine?” “Uhm, 9/15″ “Ah”).
Dovrei consegnare all’oblio della Storia lo svolgimento ridicolo della parte scientifica del mio orale di maturità, soprattutto la domanda sul Teorema di Rolle, a cui, nel mio silenzio attonito, ha risposto in un sussurro corale l’intero pubblico presente, portando la misericordiosa commissaria esterna a glissare sulla mia totale impermeabilità alla materia e a consegnarmi direttamente nelle mani pietose della professoressa di Fisica, che si è limitata ad invitarmi a disegnare “due masse, ecco, che si attraggono” mentre lei rispondeva autonomamente al quesito che mi aveva posto.
Mi piacerebbe potervi dire che si trattò di un’anomalia statistica, ma mentirei. E sarebbe una bugia inutile, perché nonostante tutto mi sono diplomata, con un dignitosissimo 87, e lasciate che vi dica che mantenere la media dell’otto per cinque anni pur essendo assolutamente refrattaria alle due, tre materie indirizzo non è cosa da poco. Diciamo che mi piacciono le sfide. O che sono un po’ scema. Mi sa la seconda.
(Sì, ho fatto una scuola pretenziosa)