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Don’t look up – il remake

Da Soloparolesparse

Mi son messo a guardare Don’t look up di Fruit Chan senza avere idea di cosa fosse l’originale omonimo di Hideo Nakata di cui questo è il remake.
Probabilmente un grave errore… è rispauto che i remake americani di film giapponesi assegnati ad altri giapponesi vengano fuori dei bei pasticci.

Ed è quello che è venuto fuori con questo Don’t look up, se è vero che la cosa migliore del film rimane l’idea di partenza che viene sviluppata in maniera pasticciata.

Marcus è un regista con una bella serie di problemi, tra i quali quello di essere più o meno un medium e di subire quindi una bella serie di visioni.
Cosa che però lui sfrutta per dare un senso (il)logico al suo lavoro.
Così, non contento dei casini che lo attanagliano, decide di andare in Romania a girare il remake di un film del 1928 di cui nessuno ha una vera traccia.
Si tratta di un film che racconta una leggenda locale che mischia stregoneria, diavoli e figli del demonio.

L’arrivo di Marcus e della troupe sullo stesso set di 80 anni prima scatena le forze che dormono nel luogo e gli incidenti iniziano a susseguirsi.
Le maestranze (per lo più rumene) fuggono come si trovassero di fronte Dracula e lui finisce per ricollegare la storia della strega, quella del film del 1928, quella del suo film attuale e mentre ci siamo ci mette dentro anche la sua personale con la fidanzata malata terminale di cancro.

 Il risultato non è il casino che ho fatto io ma è comunque un bel pastrocchio dal quale è difficile venire fuori in maniera logica.

Don’t look up – il remake

Reshad Strik ha delle espressioni da drogato in astinenza più che da medium, Rachel Murphy ha un ruolo fondamentale nella vicenda, ma non fa nulla per farlo notare, Fruit Chan usa un montaggio pieno di flash spesso in maniera inutile.

Lasciamo perdere il capitolo effetti speciali.
Non sono tanto le teste spaccate a risultare totalmente inverosimili, ma vorrei fare una parentesi a proposito delle continue invasioni di mosche.
Siamo nel 2010 e lo sciame risulta evidentemente fasullo e sovrapposto in postproduzione.
Ricordo al gentile pubblico che nel 1985 Dario Argento utilizzò fondi di caffè per ottenere lo stesso effetto in Phenomena, con risultati di gran lunga superiori… ma di gran lunga, eh!

La cosa più interessante rimane il cameo interpretativo di Eli Roth.

Facciamo così: mi ripropongo di vedere la versione di Nakata e poi ne riparliamo.

 


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