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Don’t you forget about Chanel

Creato il 13 gennaio 2016 da Elgraeco @HellGraeco

Ecco, se non fosse arrivato Ash (e i Morti Cattivi) a lasciarsi dietro tutto il resto, la palma d'oro delle serie TV del 2015 sarebbe andata a Scream Queens.
Una serie su quattro ragazzette smorfiose e urlanti?
Sei serio?

Don’t you forget about ChanelSì, assolutamente. Perché è tutto fuorché uno sbrigativo "serie su quattro ragazzette smorfiose e urlanti".
Il precedente è, come dire, il modo sciocco di guardare (e pensare) a questa serie, che ribadisco, non fossero bastati i precedenti articoli che le ho dedicato, è un'operazione gigantesca.

Se Ash vs Evil Dead ha sdoganato l'horror splatter a un nuovo media, la TV, medesimo ruolo di traghettatrice ha svolto Scream Queens, ma se possibile, in senso ancora più assoluto. Infatti non solo squartamenti, in SQ, ma liberazione della narrazione, in quello che appare come una sorta di miracolo della comunicazione.

SQ infatti, attraverso i suoi autori, il malvagio duo Murphy/Falchuk, inscena tutto, tutto lo scibile umano in fatto di narrativa, e lo assoggetta a, perdonate il termine, una gigantesca presa per il culo, o se vogliamo essere più contenuti, filtra il tessuto del reale attraverso la duplice lente della sottile e ironica critica sociale e della commedia, strappando allo spettatore la risata liberatoria, anche e soprattutto quando si scaglia sugli scudi che la società odierna ha inteso dargli per proteggerlo dalle ingiustizie del mondo: il politically correct.

Chissà perché a parlare di supercazzole si diventa subito critici, quelli veri, blasonati... tutti ti prendono sul serio.

Politically Correct che diventa il bersaglio preferenziale, com'è giusto che sia.
E ok, a ben guardare, come faceva notare Kara ospite da Lucy, SQ sembra quasi la versione parodistica di un'altra serie piuttosto nota, giunta alla sesta stagione, serbando in sei anni medesimo meccanismo base: Pretty Little Liars, che da sei stagioni fonda l'intreccio su quattro ragazze prese di mira da un assassino mascherato imprendibile.

Analogie a parte, SQ si rivela iperstrutturato, così com'è ipercromatico, offrendo molteplici spunti di lettura. Dopo aver terminato la prima stagione e riservando un encomio a tutto il cast, in particolare alle due assolute protagoniste, Emma Roberts e Jamie Lee Curtis, l'idea Don’t you forget about Chanelche m'ero fatto all'inizio, circa il sottile conflitto generazionale che pare sottendere alle relazioni (più o meno disfunzionali) di ogni personaggio che vanti un qualche tipo di legame in quest'ambientazione, fosse di parentela o semplice affezione, pare essere confermata in chiusura di stagione.

[piccoli spoiler crescono da qui in poi]

Le quattro protagoniste, le Chanel, conoscono tutte il loro successo personale: una, che è l'assassina, ne esce vincente e soddisfatta, nel suo diabolico piano per ottenere un riscatto sociale che la porta al vertice della sorellanza, la Kappa Kappa Tau, le altre, incapaci di accettare la realtà, per la legge del contrappasso non chiudono giammai come adorabili scemotte dalla personalità incontenibile, da coccolare e amare, ma vengono sbattute in manicomio.

Perché d'accordo il surrealismo, ma Chanel Oberlin, che è l'icona della ricchezza sfrenata e del disvalore, o di una percezione alterata dei valori, schiacciata da un cinismo e maleducazione che oggi vengono persino percepiti come chic, è, in parole povere, pazza.
E quindi va rinchiusa, insieme alle altre due Chanel, colpevoli di costituire l'altra parte della folle società coeva: essere sprovviste di personalità, soggiogate da chi ha potere e arroganza in pari misura. Incapaci di empatia.

Don’t you forget about ChanelIl fatto che poi, sulle note dei Simple Minds, le tre Chanel preferite, soprattutto Oberlin (Emma Roberts), finiscano col trovare, in manicomio, il loro paradiso perduto, in cui infine possono essere se stesse, smettere di mangiare batuffoli di cotone per mantenere la linea, dare sfogo alla loro personalità senza preoccuparsi di apparire, rivela la loro vera natura: sono prodotti di una società malata che di loro è responsabile.

Temi piuttosto profondi, a quanto pare, serviti con la leggerezza di chi, in verità, sta presentando un dramma mascherato da commedia a chi il dramma ha contribuito a crearlo: noi.
Ché la società è roba nostra, non illudiamoci del contrario.

Don’t you forget about ChanelInfine, vorrei porre l'attenzione su un ultimo aspetto: la colonna sonora, che è quasi costantemente "al passato", rispetto al quadro surreale che è il nostro presente e che pare andare al di là della mera scelta stilistica (e d'accordo, una delle prime vittime di Red Devil è, in effetti, la cosiddetta "Taylor Swift sorda", ma non fossiliziamoci sull'idea che la musica attuale è una merda, colpa soprattutto di MTV, anche se lo pensiamo tutti).
Sembra, la colonna sonora, una conferma alla teoria "creazionista" espressa poco fa: una sorta di specchio del presente orientato verso l'epoca passata, un passato recente, diciamo il ventennio Ottanta-Novanta che, piaccia o no, ha creato tutte le suggestioni che hanno contribuito a mettere in piedi il progetto SQ e anche a costruire le manie delle protagoniste, la loro esistenza alterata, frutto di disvalori. Perché le Chanel sono figlie di quei due decenni e dei genitori che le hanno create, come a dire che se oggi sono in manicomio, è colpa nostra, perché siano noi, che le abbiamo precedute, ad averle fatte così.

Giù il cappello.


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