Tacet Tacet Tacet, Lili Refrain, Father Murphy.
Montefiore di Recanati (MC), Circolo Dong.
L’Occult Fest organizzato dal circolo Dong fa parte di quelle date che abbiamo scelto di supportare in veste di media partner perché vicine al nostro modo di sentire e intendere la musica come materia viva e pulsante, in grado di reinventarsi e mettersi in discussione, aprirsi a nuove contaminazioni e rifiutare qualsiasi dogmatismo fine a se stesso. Non a caso i nomi presenti sul cartellone questa sera sono da sempre nel nostro radar e sono stati più e più volte ospiti delle nostre pagine virtuali.
Gli unici che potrebbero suonar nuovi (e sui quale dunque ci permettiamo di andare un po’ più lunghi) sono i Tacet Tacet Tacet (in apertura), che comunque sono nati da un’idea di Francesco Zedde già incontrato con A.N.O., Kree-Mah-Stre, Butcher Mind Collapse, Virgin Iris e Tentacle Rape, quindi non proprio uno sconosciuto da queste parti. Ad accompagnarlo in quest’avventura due musicisti con cui Zedde aveva già collaborato nei Virgin Iris, Alberto Amagliani e Valentina Vindusca, più due curatori della parte visuale che fa da sfondo alle esibizioni del trio, Francesco Ceccarelli (già con la Chinese Food Prod) e Federico Pupeschi (al montaggio). In realtà, il tutto è nato come progetto solista e solo in un secondo momento è stato allargato agli altri per dare ai live una forma compiuta in cui ogni attore ha finito per portare la sua impronta e ha influenzato il risultato finale. Con tali premesse, appare davvero difficile descrivere il set proposto in quest’occasione con le solite etichette di genere, in quanto le composizioni non seguono uno stile codificato e si mostrano come un corpo in continuo divenire, a seguire le immagini e a contrappuntare una sorta di colonna sonora dei video con cui scaturisce un continuo interscambio. Di sicuro è presente una forte componente sperimentale, su cui si innestano di volta in volta input dal taglio ambient, post-rock, musica concreta e da film, il tutto senza seguire un unico sviluppo possibile, tanto da attribuirne alla struttura apparentemente instabile la funzione di vero e proprio tratto caratterizzante.
Di Lili Refrain ormai sapete tutto, insieme ai Father Murphy è uno di quei nomi che abbiamo sempre seguito fino a che è diventata una costante e compagna di viaggio delle nostre esplorazioni sonore. Oggi, a differenza delle recenti occasioni in cui l’abbiamo incontrata, deve condividere il palco con altri due progetti e quindi portare a termine un set più compatto: non mancano comunque brani ormai irrinunciabili come il tributo a “Nature Boy”, “666 Burns” e il gran finale affidato ad “Ictus”, travolgente come da copione. Proprio la scaletta rimaneggiata e la location all’aperto permettono di osservare Lili sotto un altro aspetto e constatare come sia completamente a suo agio nel gestire situazioni e audience differenti, senza perdere una briciola del suo entusiasmo o la voglia di interagire col pubblico. Per questo non possono mancare le fughe dal palco per cercare un contatto diretto con chi la segue e le battute tese ad annullare la distanza tra lei e il pubblico. Ancora una volta si ribadisce come la cantante/chitarrista abbia ormai imposto un suo approccio del tutto particolare, che mischia l’attitudine “condivisa” del concerto hc con il funambolismo di scuola metal, il canto lirico e la sperimentazione, il tutto riunito intorno alla loop station come fosse un moderno focolare.
Se l’esibizione di Lili Refrain è stata rivolta verso il fuori e il pubblico, i Father Murphy si fronteggiano e non staccano mai gli occhi da loro stessi e da ciò che stanno creando, quasi si trattasse di un colloquio intimo, di un sistema con un proprio centro di gravità che riversa la sua carica all’esterno, ma che dell’esterno non pare curarsi. Non sembra però, si badi bene, un cercarsi per darsi il la o controllarsi a vicenda, ma una vera e propria comunicazione di sguardi che finisce per influenzare l’andamento e le emozioni trasmesse dal palco, un guardarsi che diventa esso stesso parte del live e dona al tutto una forte carica di elettricità statica. Incentrato sull’ultima produzione, il live dimostra come i Father Murphy siano i protagonisti di un percorso in continua evoluzione, figlio di una ricerca libera da dogmi e privo di reverenza dogmatica verso le proprie radici. Ciò che arriva ai presenti è un flusso in cui voci, chitarra, percussioni e suoni dissezionati contribuiscono a ricreare un’atmosfera cupa, quasi gelida, il che purtroppo un po’ si perde in una situazione all’aperto in questa calda notte estiva, ma non ci impedisce di comprendere come la strada imboccata sia ricca di spunti interessanti e possa portare evoluzioni ancora tutte da scrivere. Sarà interessante vedere come i due sapranno mutare ancora il risultato delle proprie interazioni e riusciranno a canalizzare lo scambio reciproco che è indubbiamente alla base della loro proposta.
A fornire il filo conduttore della serata il dj set di Smegma che si infila nelle pieghe delle esibizioni e fa da collante con una selezione in tema con il festival, almeno fino a quando la notte inoltrata, le chiacchiere e le bevute non portano l’atmosfera ad un cambio radicale che vedrà ogni pulsione occulta sdrammatizzata in virtù del cazzeggio più sfrenato, con il suono delle risate ad accompagnare l’arrivo dell’alba. Colazione sulla via del ritorno e arrivederci alla prossima edizione.
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