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Donna di pioggia

Da Sogniebisogni

Banksy

Arrivava sempre con la pioggia. O era la pioggia che la portava lì, da lui. Le prime volte, in autunno, era solo una sagoma indistinta. Poteva sfuggire a un occhio disattento, specie se non pioveva molto e il vento faceva turbinare d’intorno le foglie secche. Alzava lo sguardo dal libro che stava studiando e osservava il giardino. Con la coda dell’occhio sembrava di percepire una presenza, che tuttavia svaniva quando la si voleva indagare direttamente. Le pioggerelle di ottobre lasciarono il posto a veri e propri acquazzoni. Allora la vide. Il corpo di lei si disegnava chiaramente sotto gli spruzzi della pioggia. Poi svaniva. Riappariva un po’ più in là nel giardino. Si muoveva distintamente verso la sua finestra, quella dove ogni pomeriggio, e fino a sera inoltrata, si raccoglieva a leggere e prendere appunti. La pioggia finiva, il buio calava, e la donna spariva. Non era sorpreso, quelle plaghe rendevano credibile l’avverarsi di prodigi inconsueti. C’era chi sentiva suonare a stormo le campane sul fondo del lago o chi incontrava volpi e tassi intenti a celebrare matrimoni nella foresta. A lui era toccata la donna di pioggia.
Dicembre fu un mese di tempeste. Arrivavano all’improvviso. Le nuvole rotolavano come palle di cannone e con lo stesso rumore. Cadevano a terra rami grossi quanto braccia. E la pioggia scendeva a cascate, tanto da dare l’impressione che la vecchia villa fosse una barca alla deriva sul fiume. Poteva vedere la donna, elegante e sinuosa, disegnata dalle gocce che le facevano da perle e orecchini. Lampi e riflessi ovunque. Era un’impressione che sorridesse? Il tempo si mantenne inclemente per tutto l’inverno e anche oltre, il cielo grigio e oppressivo come un tetto di ardesia ispirava disperazione. Ma lui era felice perché poteva vederla, farle cenno, costruire un dialogo necessariamente muto. Gli scrosci di pioggia sembravano dire tutto, soprattutto sembravano alludere all’imminente passione. Poi, come volle il tempo, la pioggia diminuì. La figuretta sembrò svanire. Il sole di aprile significava serenità per tutti, ma non per lui. L’estate l’avrebbe cancellata nella siccità che tradizionalmente affligge quei luoghi. Nella luce più accecante che rende nette le ombre e cancella i mezzi toni.
L’ultimo temporale della stagione scoppiò proprio allora e lui decise che sarebbe uscito. Le sarebbe andato incontro per abbracciare il suo corpo fatto di acqua e di nulla. Ma lui era soltanto un’illustrazione su un libro. Un uomo chino a studiare vicino una finestra. Era fatto di carta ben invecchiata. La pioggia lo rammollì, lo cancellò. La mattina dopo il temporale forse si sarebbero potuti vedere ancora i suoi occhi che si specchiavano in una pozzanghera.


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