Torna la discussione sullo stereotipo della donna oggetto: pregiudizi atavici attuali
La Presidente della Camera, Laura Boldrini è tornata sul tema sociale relativo allo stereotipo di donna oggetto che si perpetua nelle strategie di marketing, pubblicitarie e televisive; la donna oca, bella ma stupida, o la donna seducente sono, come si può constatare dalle trasmissioni o dagli spot pubblicitari, ancora degli argomenti ritenuti convincenti per attirare l’attenzione del pubblico o per invogliare l’acquisto di un determinato prodotto. Basta soffermarsi sul messaggio inviato dalle pubblicità dei profumi di qualsiasi marca che instaurano una correlazione tra fragranza e relazione sessuale o quelli che sponsorizzano un’auto: il messaggio è che possedere una bella auto possa coincidere con il possedere una bella donna, dando prestigio e status a chi possegga entrambe, lanciando così messaggi impliciti: la donna è un oggetto, proprio come l’auto e, quindi, come tale può essere comprata e posseduta, innescando un ulteriore atavico clichè: la donna è interessata ai beni materiali, quindi sceglie l’ uomo ricco, potente…una sorta di dura legge della natura darwiniana!
Vivendo in una società che ha ancora dei precedenti maschilisti, gli stereotipi della donna oggetto non sono dei semplici clichè divertenti e su cui sorridere, perché messaggi subliminali e inconsci lanciati dai mass media sono recepiti anche dai più piccoli e dai giovani che a volte non hanno strumenti giusti per criticare e guardare il fenomeno del gender in maniere oggettiva e distaccata. In particolare, il processo di oggettivazione attivato mediante il circuito dei mass media diventa un processo di auto-oggettivazione soprattutto per preadolescenti e giovani generazioni: l’immagine della donna (a volte ritoccata e resa sproporzionata) con corpo statuario e provocante o presentata come mero oggetto è assunta e interiorizzata soprattutto dal genere femminile, con conseguente cura ossessiva del proprio corpo e possibili disturbi alimentari.
La discriminazione femminile è stata oggetto di discussione nel Parlamento europeo nell’ ambito della risoluzione del 16 settembre 1997, constatando l’assenza di una legislazione negli Stati membri che tutelasse la dignità e il rispetto di gender, sottolineando che “i mezzi di comunicazione di massa influenzano i comportamenti sociali trasmessi e possono contribuire al cambiamento della mentalità e alla realizzazione dell’ eguaglianza rappresentando la varietà di ruoli dei due sessi”.
Nel 2008 si ritorna sul tema, sottolineando quanto il processo di socializzazione sia importante nell’ acquisizione di modelli valoriali e nella creazione di un’ identità: risulta così fondamentale che i mezzi di comunicazione, non solo non veicolino messaggi pubblicitari che ostacolano la visione paritaria moderna, ma che si attivino a trasmettere essi stessi tale immagine, riscontrando quanto i mass media influenzino il comportamento e contribuiscano alla formazione di opinioni.
In Italia il disegno del decreto legge in materia di discriminazione di gender in ambito pubblicitario risale al 2010 evidenziando come la denigrazione sessuale crei un legame innaturale tra il sesso di una persona e il prodotto pubblicizzato, dando il compito di monitoraggio, vigilanza e promozione di un’immagine realista della donna a una Commissione per il contrasto alla discriminazione nella pubblicità e nei media.
Quante volte, per offendere una donna si fa riferimento a costumi e ai suoi comportamenti sessuali? E così, se una donna ha tante relazioni è considerata spesso una dai facili costumi mentre l’uomo è un casanova. A onor del vero bisogna ricordare che diverse donne sono consapevoli di questa mercificazione del proprio corpo e la perpetuano al loro volta.
La Presidente della Camera ha sottolineato come i messaggi veicolati dai mass media che pongono la donna in stato di inferiorità o in qualità di oggetto da possedere, possa portare a perpetuare e giustificare comportamenti maschilisti, vedendo una correlazione tra femminicidio e visione della donna come un nulla sociale. Se questa affermazione trova consensi, soprattutto in ambito femminile, leggendo commenti su diversi blog, tanti giovani non la pensano esattamente così e si sono schierati contro la legge sul femminicidio, affermando che essa sia anticostituzionale e citando l’articolo 3 della Costituzione italiana in cui si dichiara che tutti gli uomini sono uguali senza distinzione di sesso, di razza, di religione e di etnia, ma è pur vero che l’articolo prosegue con: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Negare che esista ancora una visione non esattamente paritaria, negare che gli stipendi delle donne, che svolgono un identico lavoro rispetto all’ uomo, siano più bassi è negare semplicemente la realtà dei fatti.Alcuni commentatori hanno scritto che i femminicidi sono inferiori agli omicidi e che, in nome dell’ uguaglianza, non esiste il bisogno di sottolineare il sesso della vittima. Credo però che sia importante sottolineare la differenza che innesca il meccanismo di uccisione: la donna, vittima di violenza psicologica o fisica è vista come nulla sociale, una femmina: la differenza, quindi, della “motivazione” insita nell’uccisione fa dell’ eliminazione fisica della donna proprio un fenomeno di genere.
L’Atto della Camera 1450 che verte sui temi di parità e non discriminazione tra i sessi nell’ ambito della pubblicità è stato ripresentato a luglio, ma risulta ancora non assegnato ad alcuna Commissione. Ora, Pubblicità Progresso si è impegnata nella costruzione di campagne pubblicitarie e nel coinvolgimento di artisti, mediante l’uso massiccio di network, per trasmettere, nell’ambito di una campagna biennale, il messaggio di parità tra i due sessi.
Alla luce anche della vicenda drammatica delle baby squillo che vendono il proprio corpo, che soggiogano o sono soggiogate dalle famiglie, sorge spontanea la riflessione che sia necessario agire sulla cultura familiare dove a volte si annidano questi pregiudizi di distinzione e di diversità, di non rispetto reciproco e confronto maturo o dove, contrariamente e drammaticamente, cresce un eccessivo permissivismo genitoriale in assenza di regole e modelli valoriali. È necessario non inviare un messaggio che in Italia spesso è drammaticamente reale: va avanti chi è disposto a fare di tutto pur di avere successo, svilendo e usando il proprio corpo, non avendo o non conoscendo l’amore e il rispetto verso sé stessi e per gli altri, proprio perché non è stato insegnato loro ciò che Rousseu demanda alla famiglia: a “conoscere sé stesso, a trar profitto da sé, a saper vivere e a rendersi felice”.