E’ una gabbia gigantesca come quelle che usano nelle prigioni, quella che separa la cucina dal resto dell’ambiente domestico. E’ un italianissimo spot di un altrettanto italianissimo marchio a lanciare in modo esplicito un messaggio subliminale che vorebbe le donne chiuse in cucina a preparare il pranzo e la cena al loro marito, anzichè andare ad una cenetta romantica o uscire di casa.
E’ sempre in questo spot, che la donna viene raffigurata come una schiava e pure oca, tanto oca da veicolarci i soliti triti e ritriti stereotipi che sono causa dell’incremento della violenza di genere, nata dalla convinzione che le donne sono esseri inferiori e schiave addomesticate per servire la propria famiglia.
La protagonista dello spot che per apparire ancor più stereotipata non ha nemmeno una voce sua e indossa un abito rosa anni ’50, contenta del ruolo che la società le ha assegnato e della sua cucina-galera e viene accompagnata da un claim finale che più sessista non c’è n’è.
Perchè la donna in Italia può essere solo due cose: o essere una donna oggetto (o velina) o essere un angelo del focolare e morire di violenza o se vuoi lavorare puoi avere solo un lavoro precario e morire di precarietà come le operaie morte a Barletta, morte perchè considerate cittadine di serie b, in quanto donne, in quanto lavoratrici.
Perchè essere donna in Italia vuol dire essere considerata alla tregua di una schiava e c’è veramente molto da fare dal momento che la nostra percezione è questa. Perchè le pubblicità parlano da sole e rivelano l’indice di civiltà di un Paese, un Paese in cui lla rappresentazione delle donne è ferma agli anni ’50 ed è dirattamente proporzionale agli omicidi per questioni di genere continuamente tramandati di padre in figlio.
Mary