donne cannibali e famigliole perverse...
Creato il 20 novembre 2011 da Omar
Alla sua quarta prova in cabina di regia, il cineasta statunitense Lucky McKee mette a segno con The Woman (2011) un'opera disturbante e assai incisiva, un film che per mezzo di alcuni stilemi mutuati dal «genere» riesce a sintetizzare l'anima nera dello zeitgeist occidentale proponendo una visione neo-american gothic davvero impressionante. Presentato allo scorso Sundance Film Festival con grande clamore, The Woman ha suscitato non poca indignazione, meritandosi applausi e qualche fischio sparuto nonché la plateale accusa di misoginia. Eppure, per quanto imperfetta e magari qua e là iperbolica, la pellicola di McKee è tutto fuorché misogina poiché proprio l'eterno femminino è posto al centro della storia, diventandone il fulcro portante e l'anima stessa: seguito ideale del poco conosciuto The Offspring del 2009 - storia di una tribù cannibale sopravvissuta fino ai nostri giorni firmato da Andrew van den Houten con il più grande scrittore del perturbante odierno, Jack Ketchum, in veste di sceneggiatore che qui torna a supportare lo script di McKee - The Woman, che resta un prodotto a sé stante e non un sequel, affronta numerosi snodi della contemporaneità cercando di fare il punto sull'ipocrisia delle convenzioni sociali e sulla patina di normalità con cui la cosiddetta "società civile" è solita, per convenienza o abitudine, ricoprire le più sconce efferatezze.
Troviamo quindi una famigliola apparentemente perfetta: lui (Sean Bridgers, adeguatissimo al ruolo) avvocato immobiliare di discreto successo, lei (una intensa Angela Bettis, vera musa ispiratrice del regista) casalinga devota, i figli sufficientemente problematici ma apparentemente regolari.
Durante una battuta di caccia il capofamiglia incoccia in una redneck zannuta che vive allo stato brado (la woman del titolo, interpretata da una brava Pollyanna McIntosh, generosa nel mostrarsi spesso nuda e maestosamente bestiale): l'uomo decide così di catturare la selvaggia, la conduce in catene nella cantina di casa e lì la tiene relegata come un cane, mostrandola trionfalmente ai famigliari alla stregua di un trofeo. Il tranquillo padre di famiglia si rivelerà presto per ciò che è: un razzista pervertito e sciovinista che non si farà scrupolo a violentare la prigioniera mentre l'adorabile mogliettina Belle, sulle prime ingelosita dall'arrivo della selvaggia nel focolare ma ben presto doma, dovrà assistere impotente al crescendo di sevizie cui il marito inizia anche il giovane figlio maschio, sorta di suo clone in chiave se possibile peggiorativa; solo la teenager di casa, Peggy (Lauren Ashley Carter), anch’essa succube delle ire paterne, sembra provare una qualche empatia verso la donna in catene. Si assiste pertanto, come si può intuire, a una netta separazione tra un mondo di maschi dispotici e violenti e una dimensione femminile sulle prime contratta e relegata al ruolo di propaggine salvo esprimersi poi in tutta la sua spietata, passionale rabbia vendicatrice attraverso la pura, incontenibile feralità dell'antropofaga che una volta libera non si farà remore nel farla pagare agli aguzzini (esemplare, al riguardo, la scelta vincente del regista di dare improvvisamente corpo allo splatter più estremo dopo aver trattenuto praticamente per l'intero film ogni facile effetto cruento).
Diretto con un'abilità registica non usuale, ben musicato e fotografato in maniera adamantina, The Woman imbastisce a ben guardare un interessante discorso sulla Donna, eleggendone la figura ad archetipo: essa è Madre, Vittima, Natura e al tempo stesso Bestialità, Vendetta e Morte. Mentre il maschio, a dispetto di ogni accusa di misoginia, ne esce invece con le ossa rotte, poco più di un fuco dalle smanie incontrollabili e le infantili esigenze che ne fanno un minuto tiranno abbastanza patetico nella sua prevedibile fenomenologia. Per approfondire questa visione formativa (sicuramente non per stomaci deboli, sia chiaro!) il titolare del blog consiglia di leggere la bella analisi fatta qui, ma è imperdibile anche ciò che dice il primo entusiasta del titolo, ossia il vecchio Elvezio Sciallis che ne parla qui magnificando - a ragione - il connubio Ketchum-McKcree).
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