Magazine Pari Opportunità

Donne e disabili. Una doppia discriminazione?

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Spesso essere donna in situazione di handicap significa subire un doppio tipo di discriminazione, una come disabile e una come donna.
Due volte discriminate, perché alla “colpa” di non essere un uomo, si aggiunge la “sfortuna” di non essere “normale”.
Questa discriminazione multipla, come è facile intuire, si riscontra nel lavoro, nell’istruzione, nella vita affettiva e sessuale. In ognuna di queste aree della vita la donna con disabilità ha meno opportunità e meno libertà di autodeterminazione, non solo rispetto alle altre donne, ma anche rispetto agli uomini con disabilità.

Il femminile e l’handicap sono accomunati da un senso di estraneità e di disagio nei confronti di una società che esalta il corpo e la perfezione.  Da questa prospettiva è interessante notare delle analogie tra i percorsi di emancipazione femminile e quelli delle persone con disabilità. Le donne e i movimenti femministi si sono impegnai a distinguere tra un dato biologico e uno socialmente costruito, come l’identità di genere. Le persone con disabilità hanno fatto un percorso simile distinguendo tra l’avere una disabilità-dato biologico- e l’avere un handicap, dato socialmente costruito da una cultura incapace di accogliere.

Le donne disabili oggi devono fare i conti con i pregiudizi di chi le vuole: troppo fragili, bisognose di cura, vittime, asessuate o al massimo esclusivamente eterosessuali, incapaci di essere madri.
Una delle tante conseguenze di questi pregiudizi è che le donne disabili avranno meno possibilità di ricevere una educazione sessuale adeguata e si abitueranno ad avere un rapporto negativo con il proprio corpo.
Già più volte in questo blog si è parlato di come la sessualità femminile venga oscurata o di come le informazioni in merito, che circolano sui media, siano superficiali e inadeguate.
Se questo accade per la sessualità delle donne “normali” cosa ne è della sessualità delle donne con disabilità? Completamente negata, non se ne parla!
In Italia il tema della sessualità delle persone con disabilità ha iniziato ad essere oggetto di studio intorno agli anni 70, ma questi studi hanno riguardato in gran parte la sessualità degli uomini con disabilità, molto raramente la sessualità femminile.
Forse partendo dal pregiudizio che la sessualità sia un aspetto fondamentale nella vita di un uomo, secondario nella vita di una donna; in pratica gli uomini hanno un bisogno “naturale” di fare sesso, le donne no, le donne possono farne a meno!
La donna con disabilità è considerata una eterna bambina, lo testimonia l’abbigliamento sempre infantile o comunque dedicato a nascondere le “forme”.
Se assumiamo le donne disabili come asessuate, allora pensare ad una donna disabile e lesbica è impossibile! Già le lesbiche sono inesistenti di per sé, dal momento che non hanno alcuna visibilità, figuriamoci le lesbiche disabili!

La riflessione sulla sessualità chiama in causa anche la riflessione sul corpo.
Oggi avere una relazione positiva con il proprio corpo è difficile per ogni donna.
Bombardate continuamente da modelli di perfezione, di giovinezza, le donne devono quotidianamente combattere per tenere in piedi la loro autostima, le donne disabili devono combattere ancora più ferocemente per non farsi distruggere da un sistema che non ammette varianti, che non vuole differenze, ma omologazione di corpi e di pensieri!

Paradossalmente alle donne questa società chiede di essere belle, attraenti e seducenti, alle donne disabili chiede il contrario, nascondere la propria “femminilità”(uso questo termine pieno di implicazioni nel significato che comunemente si intende per femminilità), di nascondere il proprio corpo, di non essere “belle”.
Questa società chiede anche alle donne di essere madri e di dedicarsi ai ruoli di cura, ma nello stesso tempo nega alle donne con disabilità la possibilità di essere madri, di avere una famiglia, di essere soggetti e non solo oggetti di cura.

Che una donna con disabilità abbia diritto all’istruzione e ad entrare nel mondo del lavoro è un’idea orami accettata, nonostante le mille discriminazioni ancora presenti in ambito lavorativo per una donna disabile, ma anche per una donna “normale”, ma che una donna disabile possa portare avanti una gravidanza, partorire e prendersi cura di un figlio è considerata da molti  una cosa assurda per non dire insana.
È opinione diffusa che una donna disabile non dovrebbe mettere al mondo dei figli e difficilmente i medici e il contesto famigliare e sociale la incoraggeranno verso questa scelta.
Per una donna disabile è anche difficile “costruirsi una famiglia”, queste infatti si sposano meno rispetto agli uomini con disabilità ed è più facile che una donna venga lasciata dal marito se la disabilità viene acquisita dopo il matrimonio , matrimonio che si rompe raramente invece se è l’uomo ad avere una disabilità.

Facendo il punto, allora: la società vuole che le donne siano belle, attraenti ma anche madri, mogli, crocerossine. La stessa società nega tutto ciò alle donne disabili.
Quali dovrebbero essere allora le aspirazioni delle donne disabili?
Che gli stessi stereotipi vengano estesi anche a loro? No, che abbiano la possibilità di scegliere. Tutte le donne devono avere la possibilità di scegliere, scegliere di avere figli se li vogliono, scegliere di avere un corpo e di metterlo in mostra se lo desiderano, scegliere di avere una sessualità e di viverla liberamente senza costrizioni, scegliere di essere rappresentate e di rappresentarsi, tutte, perché infondo si combatte la stessa battaglia.

Per chi voglia approfondire il tema donne e disabilità consiglio il sito del Gruppo donne UILDM in cui è possibile trovare molto materiale in merito.

Per quanto riguarda il tema disabilità e omosessualità consiglio la lettura di questo Report



Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog