Il concerto è appena finito.
Ancora intossicata dal fumo di scena, scendo dal palco.
Scambio di saluti, pacche sulla spalla, abbracci.
Risate, battute.
Poi arriva il momento delle presentazioni: l’amica dell’amico, il cugino del fratello, la sorella della nipote del cognato.
Mi si avvicina un fanciullino:
«Bravi, proprio bravi, bel tiro, tanto groove: complimenti! Tu, poi, hai cantato proprio bene…».
«…?»
«Sì, voi coriste, siete state veramente in gamba: mi avete fatto venire la pelle d’oca!»
«… veramente io sarei la bassista…»
«Ah sì?… Sicura?… No, comunque, bravi davvero».
Passa mezz’ora, incrocio un fanciullone:
«Oh ma siete straordinari! Sai che canti benissimo?»
«Aridagli, un altro… sono la bassista, non una delle coriste»
«Davvero?…».
Tra un complimento canterino e l’altro, mi trovo invischiata con un terzo fanciullo in un discorso sulla figura della donna musicista. Sul fatto che la donna bassista «fa scena, dai!», che «prima la guardi, poi eventualmente fai caso a come suona».
Uhm… sento puzza di stereotipo.
Donna musicista= cantante, quasi mai strumentista.
Bassista donna= si guarda ma non si ascolta.
Come fosse minestra riscaldata, ricordo che questi discorsi li sentivo già tanti anni fa, con l’unica variante che si parlava di «ragazza» anziché di «donna».
Il tempo passa, l’ascoltatore (uomo) medio resta sempre quello.
Quanta pazienza ci vuole…