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Donne nel cinema western: “Soldato blu”

Creato il 06 maggio 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Donne nel cinema western: “Soldato blu”

Kathy (Candice Bergen) ed Honus Gent (Peter Strauss) sono gli unici superstiti dopo un attacco Cheyenne ad un reggimento di passaggio. Gent è un giovane e maldestro soldato dedito al suo dovere; ogni cosa che fuoriesce dalla sua bocca è infusa di un cieco idealismo patriottico, mentre l’altrettanto giovane Kathy, invece, che ha avuto modo di conoscere ed ammirare gli Cheyenne, è selvaggia quanto i suoi lunghi capelli biondi mossi dal vento e i suoi magnetici occhi blu intelligenti e pieni di vita. I due devono farsi strada verso Fort Reunion, il campo base militare, dove il fidanzato di Kathy, un ufficiale dell’esercito, attende il suo ritorno. Per riuscirci,  dovranno attraversare il deserto con pochi viveri, dovendosi nascondere dalle svariate tribù indiane che costellano il paese. Il soldato si ritroverà persino a dover combattere con il leader di un piccolo gruppo che li seguiva a distanza, su cui avrà la meglio senza però riuscire a trovare il coraggio di ucciderlo. A circa un giorno di viaggio dal campo militare, Honus verrà ferito da un bianco che rifornisce gli indiani di armi, tale Isaac Q. Cumber (il sempre impeccabile Donald Pleasence), e i due trovano rifugio in una caverna. Kathy, al mattino, lo lascia lì per cercare aiuto. Riesce ad arrivare al forte, solo per scoprire che la cavalleria del suo fidanzato ha in programma di attaccare all’alba un pacifico villaggio di indiani appartenenti alla tribù degli Cheyenne. Ruba un cavallo e raggiunge il villaggio in tempo per avvertire il capo Spotted Wolf. Quest’ultimo rifiuta di andare in guerra credendo al trattato di pace stipulato con i bianchi e, contrariamente ai suoi compagni che vorrebbero combattere, sceglie di accogliere pacificamente i militari. Arriverà persino a sventolare la bandiera americana in segno di pace. Honus nel frattempo ritrova il cavallo che era fuggito e raggiunge il reparto, ormai giunto nei pressi del campo indiano. Il giovane, mutato dall’incontro con Kathy, cerca in tutti i modi di persuadere il colonnello a non attaccare l’accampamento. Non servirà a nulla. Gli uomini dell’esercito non rifiutano l’ordine del loro comandante per quanto ingiustificato e aprono il fuoco. Sotto gli occhi sconvolti di Honus, devastano il villaggio, violentando le donne, uccidendo i bambini e facendo scempio dei cadaveri. Terminato il massacro, Honus rivede Kathy per la prima volta da quando si sono trovati abbracciati a dormire nella caverna, lontani da quel suolo macchiato di sangue. Lei tiene tra le braccia il cadavere di una bambina, si avvicina a lui e gli chiede con gli occhi vetrati se ora ha qualche bella frase che dia un senso a quanto era accaduto. Lui rimane in silenzio per poi cader a terra e vomitare. Il reparto, dopo avere ricevuto le congratulazioni del colonnello, se ne va. I due si rivedono fugacemente un’ultima volta mentre lui viene trascinato in catene, insieme ad altri soldati che si sono rifiutati di partecipare al massacro, e Kathy viene avviata alle riserve insieme ad alcuni bambini sopravvissuti.

Quello che è entrato nella storia come il massacro di Sand Creek, a cui Soldato blu (1970) si ispira (muovendosi dal libro Arrow in the sun di Theodore V Olsen), è uno degli eventi più ripugnanti della storia americana. Quando il colonnello John Chivington e i suoi ottocento uomini, appartenenti alla Prima Cavalleria Colorado, marciarono all’albeggiare del 29 Novembre 1864 verso il villaggio degli Cheyenne e degli Arapaho solo una decina di soldati persero la vita, mentre più di duecento furono le vittime indiane. Chivington e i suoi uomini, dopo, si fecero fotografare mostrando gli scalpi e gli altri trofei, soprattutto feti di donne incinte e genitali maschili. Bellissima, quanto disturbante, in tal senso, una delle tag-line originali del film:

The order was massacre, and good soldiers follow orders. These soldiers were the best.

Per chiunque sia interessato a percorrere la storia della censura cinematografica e in generale l’evoluzione della violenza sul grande schermo, una tappa obbligatoria è rappresentata proprio da Soldato blu (recentemente più di un critico, parlando della brutalità, ha definito il film ‘il Cannibal holocaust dei suoi tempi’). Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito il film è stato pesantemente tagliato, e solo negli ultimi anni, grazie alle uscite in DVD, è stato possibile visionare l’integrità delle decapitazioni e stupri di gruppo della scioccante sequenza finale. Il regista Ralph Nelson, con grande piacere, è stato più volte menzionato su questa rubrica. Scrivendo del suo precedente Duello a El Diablo, così veniva introdotto: Nelson, il cui cinema si può collocare tra quello secco, coscienzioso e sociale di uno Stanley Kramer e quello ruvido e senza compromessi di Robert Aldrich, nasce artisticamente alla fine degli anni ’40 e si fa le ossa, come del resto gran parte dei registi della sua generazione, compresi i due giganti appena citati, nella televisione. Debutta al cinema nel 1962 con Requiem for a Heavyweight, un dramma duro girato in uno sporco bianco e nero con Anthony Quinn, incentrato sul mondo della boxe. Proseguirà a dirigere numerosi film di vario tipo sviluppando, grazie ad una coerenza tematica ed un occhio barocco e preciso per l’azione, una forte riconoscibilità stilistica.

Donne nel cinema western: “Soldato blu”

Va però detto che se Nelson è riuscito a mettere in piedi un progetto di tale controversia, lo deve soprattutto a Sam Peckinpah. Il revisionismo romantico e spietato e il viscerale realismo nel mostrare la violenza ne Il mucchio selvaggio (1969) furono un evento senza precedenti. Nelson confeziona un film semplice, di un semplicismo disarmante, asciutto, il cui contenuto metaforico e i parallelismi con le immagini che arrivavano dal Vietnam è talmente forte che molti all’epoca criticarono il film per mancanza di oggettività e compromesso. Ma il film di Nelson è un pugno nello stomaco, un urlo primitivo, un lamento gridato e vibrante come la voce di Buffy Sainte-Marie che canta la title-song del film. Soldier blue, soldier blue, can’t you see there is another way to love her…

Di certo Soldato blu non contiene le sottigliezze narrative contenute in Piccolo grande uomo di Arthur Penn o in Un uomo chiamato cavallo di Elliot Silverstein, usciti lo stesso anno e dalle tematiche analoghe, ma forse proprio per la sua ferocia e l’essenzialità nella messa in scena (e perché no, anche rozzezza), il film di Nelson rimane un manifesto generazionale di incredibile valore storico.  Hanno di certo ragione molti detrattori del film di Nelson quando sostengono che è stato concepito e costruito con l’intento di scioccare, assumendo, nel riprendere le violenze finali, quasi un approccio pseudo-documentaristico e puntellando la prima parte del film di una leggerezza che non fa che aumentare lo shock-value di quel che accadrà. Come spesso succede però quando si parla di violenza cinematografica non si fanno distinzioni e si giudica solo la quantità di sangue e non cosa l’ha generata. Soldato blu è una pellicola di reazione a violenze ben più atroci, di cui stiamo ad oggi ancora pagando le conseguenze. Il film di Nelson oltre ad aver sfidato la censura, riuscendo a spingere i limiti del mostrabile sul grande schermo, ha anche un altro elemento ad impreziosirlo. Trattasi forse dell’unico vero western femminista. Il protagonista maschile, Peter Strauss nel suo ruolo più importante, è debole, impotente e, pur avendo il cuore al posto giusto, ingenuo (esattamente come una cospicua fetta di popolo americano d’allora?). Candice Bergen, la cui bellezza è commovente, invece è forte, curiosa, diffidente nei confronti del potere, con controllo della sua sessualità. In tal senso, interessante il lavoro che è stato fatto, accostandola, sul piano iconografico, ad una splendida figlia dei fiori.

Donne nel cinema western: “Soldato blu”

Va detto quindi che cinematograficamente è insita nella donna, molto più che nell’uomo, la spontanea capacità di essere icona, di incarnare e riassumere, sul piano artistico, l’epoca, il concetto o la personalità di un film. Milla Jovovich ne Il quinto elemento, gli occhi della Kidman in Eyes wide shut o la camminata della Cardinale, in campo largo alla fine di C’era una volta il west, sono solo alcuni esempi di quanto lo stato d’animo o “il messaggio”, nel senso non cerebrale ma primitivo del termine, si va a depositare sul volto femminile. Può darsi che questo nasca, come sostengono alcuni, dal fatto che la donna è cuore, quanto l’uomo è testa, o dal fatto che la donna è portatrice da sempre di mistero ed è già simbolo di per sé, di vita, sensualità e futuro.  Può darsi che dipenda dal fatto che la donna non è in continua lotta con il suo contesto e al contrario del maschio è vive in armonia con quel che la circonda, perché essa è natura. Forse proprio grazie a queste caratteristiche, la contrapposizione della donna alla bestialità maschile più feroce sembra accentuarne la violenza, rendendola ancor più disturbante. Candice Bergen in Soldato blu per evidente volontà di Ralph Nelson, la cui macchina da presa su di lei, e solo su di lei, sembra rallentarsi e muoversi con contemplativa leggiadria, diviene icona di una epoca. La Kathy Maribel ‘Cresta’ Lee della Bergen si eleva a simbolo di una generazione la cui innocenza è stata violentata. Lei rappresenta ogni ragazzo e ragazza seduti sull’erba davanti alla Kent State University, che manifestano pacificamente e non riuscivano a credere ai loro occhi quando i soldati americani hanno iniziato a sparare sulla folla (poco importa che il film fosse già in pre-produzione, essendo uscito nelle sale ad agosto, quando il massacro di Kent State è avvenuto il 4 Maggio dello stesso anno, questo è il potere del cinema). Lei è il volto di ogni soldato pronto a partire per il Vietnam, lei è chi è rimasto indietro ad aspettare per poi vederli tornare in bare, mutilati o anestetizzati alla vita. Lei è ogni donna in piazza che lotta per i propri diritti. Lei è l’America disillusa ed arrabbiata posta dinanzi a quel che si celava al di là dello specchio luccicante di segreti e false promesse…

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura

sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura

fu un generale di vent’anni

occhi turchini e giacca uguale

fu un generale di vent’anni

figlio d’un temporale

ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek

(Fiume sand creekFabrizio de André – 1981)

Eugenio Ercolani

 

La prossima settimana: Stringi i denti e vai


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