In queste settimane di tosse, mal di gola e raffreddore, ho tutto il tempo che voglio per leggere articoli e post nella Rete.
Due giorni fa, dunque, apro Facebook e, sulla pagina della mia amica Sara, trovo la storia di Caterina...
Caterina ha 28 anni e da anni si è sistemata all'estero, dove vive e lavora. Un giorno legge su Internet un'inserzione di lavoro, pubblicata dall' editore di un noto periodico, di cui Caterina preferisce non fare il nome. Lo chiamerà semplicemente e con grande signorilità "X".
L'inserzione recita:
Siamo sempre alla ricerca di uno o più stagisti per Assistente di Redazione per XXX. Teniamo aprecisare che, ahinoi, per almeno 8-10 mesi, il rimborso spese per uno stagista che deve imparare tutto, è minimo, quasi inesistente. Chiedete altrove quanto percepisce uno stagista. In alcuni casi, presso alcune importanti aziende, lo stage, assolutamente gratuito dura un anno. [...] Preghiamo dunque di rispondere al presente annuncio SOLO a chi possiede i requisiti richiesti e a chi può mantenersi per parecchi mesi a Milano.
Perplessa - nonostante non abbia alcun bisogno di avvantaggiarsi della "meravigliosa" offerta di lavoro dell'editore - Caterina decide di rispondere all'annuncio inviando una e-mail e ponendo un quesito ineccepibile dal punto di vista sia della logica sia dell'etica:
Mi spiega perchè i miei genitori o chi per essi dovrebbero pagare perché IO lavori PER lei? [...] Mi dica una cosa: se potessimo non lavorare per vivere, secondo lei, lavoreremmo?
Piccato (e convinto che Caterina scriva in questo modo perché interessata al posto di lavoro, ma impossibilitata ad accettarlo a causa della mancata retribuzione), l'editore risponde:
Caterina, se tu fossi in grado di lavorare per noi ti offrirei subito, anzi, prima, due o tremila euro al mese. Prima impara a scrivere, a leggere dai siti e giornali del mondo, a fare una notizia in dieci righe, a fare l'editing di un testo, a impaginare con inDesign e poi potrai avanzare pretese.
Lo sai cosa dice Tronchetti Provera? Lavorare oggi a buoni livelli è un lusso. Se uno non lo capisce vada a lavorare al Mac Donald. E' forse il tuo caso? Auguri. X
PS. Chiedi allo Stato di aiutarti. La mia azienda non e' di beneficenza. E tu cerchi la beneficenza. X
A questo punto Caterina getta la maschera e afferma senza mezzi termini non solo di non avere alcun bisogno della "beneficenza" del parsimonioso editore, ma di possedere molte più competenze e conoscenze di quelle richieste dal suo potenziale datore di lavoro:
In tal caso sono lieta di farle sapere che non solo so scrivere ed impaginare con inDesign ma mi sono laureata in design col massimo dei voti e di software tecnici ne conosco almeno dieci tra grafica, photo editing, disegno e 3D. Parlo correntemente quattro lingue e la mia conoscenza dell'arte contemporanea è ottima. Vivo e lavoro all'estero da anni e mi creda, dal suo annuncio la cosa che vorrei meno al mondo è lavorare per lei. Meglio il Mac Donald's, quanto ha ragione! La beneficenza se la faccia fare lei, povero indigente che non può nemmeno pagare un povero stagista il minimo. Anzi, meglio: perchè non cheide all'ufficio delle imposte? Saranno lieti di aiutare chi fa profitto sul lavoro non pagato. Avanti così, lei è UN EROE.
Touché, verrebbe da dire. A questo punto "X" non saprà più che rispondere, ci si immagina. Lui che cita Tronchetti Provera come altri citerebbero Gandhi e che non chiede altro che la conoscenza di inDesign come requisito base per il suo lavoro NON pagato.
Macché. In Italia la realtà supera la fantasia e "X" spiazza tutti (forse anche la sua interlocutrice) ricorrendo alle armi più temibili e diffuse nel nostro Paese: la maleducazione, l' arroganza, il sessismo e la meschinità; e così risponde infine a Caterina:
Caterina, come vedi ora anche le mignotte debbono parlare 4 lingue, conoscere l'arte e inDesign. Il globalismo fa miracoli. Buon segno. Buon lavoro. X
La rivista in questione è "Flash Art", l'editore responsabile di aver pesantemente insultato la 28enne Caterina De Manuele è il gentleman Giancarlo Politi e questo è l'annuncio di "lavoro" diffuso dalla newsletter di "FlashArt". ( Fonte: "Il Fatto Quotidiano")
Ovviamente, quando la notizia rimbalza sui giornali nazionali grazie a una lettera scritta da Caterina al Presidente della Repubblica, Politi si affretta a negare, accusando Caterina di aver manipolato la sua e-mail. (Non si capisce per quale motivo Caterina avrebbe dovuto farlo: esiste forse una cospirazione ai danni dell'editore in questione? Il signor B. insegna. Oppure il suo scopo nascosto era quello di ricevere un rimborso per danni morali, da parte di un poveretto che non ha neppure i soldi per pagarsi uno stagista?)
Inutile dire che questa notizia mi ha colpita parecchio. Forse perché proprio nel post precedente parlavo di eleganza - e quotidianamente mi trovo costretta ad ammettere che, nel nostro Paese, di quella particolare elegance of mind non esiste più neanche l'ombra.
Viviamo soffocati da un clima (morale, intellettuale) mefitico, permeato da arroganza, atteggiamenti "a muso duro" da squadracce fascistoidi - in un Paese in cui imperversano i peggiori "-ismi" delle società contemporanee: razzismo, sessismo (guarda caso, Politi chiama Caterina proprio "m******a"), specismo. Dove una qualunque azienda (di piccole o grandi dimensioni, non ha importanza) può permettersi, con disarmante nonchalance, di cercare tirocinanti "inclini alla subordinazione", o, peggio, di chiedere ai propri futuri collaboratori un contributo in moneta sonante per sostenere il corso di formazione, precisando che dovranno astenersi dal rispondere all'annuncio tutti coloro che inseguono il miraggio del posto fisso. (Fonte: Manifesto della stagista)
Viviamo in un'Italia ormai surreale, in cui bisogna pagare per lavorare, con buona pace delle bollette che ci vengono recapitate nella buca delle lettere a fine mese. Il tutto condito dall' odiosa cafonaggine di chi (imprenditori, banchieri, finanzieri e farabutti d'ogni risma) cerca di aggrapparsi alle parti emerse di un relitto che sta (inesorabilmente) affondando.
Il grottesco è che pochi si rendono conto della drammaticità del nostro presente: la gente comune è inebetita da "reality show, spettacoli sportivi, musica sincopata, cartoni animati, notizie manipolate, editoriali falsi, scandali del jet set, quotidiani dozzinali, programmi deprimenti, oroscopi, maghi, libri scadenti, letteratura scandalistica" [1].
Abbiamo perso il senso delle proporzioni, non sappiamo scegliere le priorità né attribuire il giusto peso agli eventi. Ci scandalizziamo per i fatti minori e dimentichiamo (ma davvero è una questione di scarsa memoria?) le minacce di colpo di Stato, le collusioni fra mafia e potere politico, la vergognosa mercificazione del corpo delle donne - qui, nella nostra modernissima Italia.
Pronti a puntare il dito contro arabi ed extracomunitari, a fare crociate impetuose contro i veli delle donne musulmane, non vediamo come vengono trattate le donne nel nostro Paese, dove di veli non ne esistono e anche gli abitini di veline e soubrette sono ridotti al minimo sindacale. Ridiamo (sotto sotto, sì, se ne ride) del "bunga-bunga" e non ci inquietiamo più di tanto (almeno non quanto dovremmo) se una giovane donna preparata, competente e consapevole dei propri diritti che tenta di affermare la sua dignità viene etichettata come una "m******a".
Del resto, ogni giorno dobbiamo fare i conti con una realtà sociale in cui le donne poco serie (autentica vergogna del femminino) sono adulate e ammirate (loro sì che hanno capito come va il mondo e hanno saputo approfittarne!) e quelle più intelligenti osteggiate e detestate, perché detentrici di un potere pericoloso.
Ho sempre creduto che la riscossa contro questa deriva morale e culturale sarebbe venuta dalle donne; oggi non ne sono più così certa. Perché, se pure mi rincuora lo slancio con cui Caterina parla al Presidente Napolitano dell'entusiasmo cui i suoi amici e amiche devono far ricorso per
reinventarsi una carriera, farsi venire nuove idee, trovare chissà dove la motivazione a ricominciare a crederci, ad andare avanti, nonostante gli sfruttamenti dei milioni di X che popolano questo Paese
tuttavia non posso fare a meno di pensare che, forse, questo loro slancio non durerà per sempre. Che forse, prima o poi, la vita (qui, in questo Paese) li trasformerà in cinquantenni annichiliti. E che Caterina - che ce l'ha fatta e ha avuto la soddisfazione di poter scrivere a Giancarlo Politi: "Tienitelo pure, il tuo lavoro non stipendiato; io ho già una professione, un contratto e un vero stipendio" - per farcela ha dovuto (che le piacesse o meno) abbandonare l'Italia. Fare armi e bagagli e accontentarsi di una decorosa ritirata. E mi viene da pensare alla fine che potranno fare, tutte quelle donne, quelle "m******e", come probabilmente le definirebbe Politi, che da qui non possono o non vogliono andarsene.
Le faranno a pezzi? Ci ridurranno a brandelli, togliendoci anima e speranze?
Dissemino le stelle intorno al mio corpo
comunicando con ogni fibra sensibile, con ogni cellula:
che cosa sono il nome, il verbo, l'identità?
Né il divieto mi annulla
né l'imperativo mi plasma
né il nome mi contiene. Wafaa Lamrani
Note
[1] C. Kane, The Unscratchables, 2009, trad. it. Gli Ingrattabili, TEA, Milano 2009, p. 270.