A distanza di oltre 160 anni, una ricerca di Kelly Dixon, professore del Dipartimento di Antropologia dell'Università del Montana, è riuscita a mostrarci di cosa si nutrirono i membri del Donner Party per sopravvivere all'inverno e all'assenza di cibo.
Il Donner Party era un gruppo di pionieri (come molti altri ce ne furono in quel periodo) diretto ad ovest su quella che veniva definita "Rotta dell'Oregon", che partiva da Independence in Missouri per finire in California. Il percorso richiedeva generalmente da 4 a 6 mesi per essere completato ad un ritmo di circa 24 km al giorno.
La parte più difficile del viaggio era rappresentata dagli ultimi 160 km: oltre 500 picchi alti fino a 3.700 metri dovevano essere superati per poter raggiungere la meta, e il tempisto era d'obbligo: durante l'inverno, infatti, la Sierra Nevada era del tutto impraticabile da un carro.
I membri della carovana era quasi tutti impreparati alla natura selvaggia: sebbene vennero definiti pionieri, molti erano membri di famiglie benestanti privi di ogni nozione di sopravvivenza e incapaci di gestire i pericoli del territorio, al contrario di alcune tribù particolarmente bellicose di nativi americani.
A capo della carovana c'era George Donner, ricco agricoltore di 62 anni che assieme al fratello Jacob e alle loro famiglie decise di spostarsi verso ovest e raggiungere la California. Uno degli altri membri della carovana, James Frazier Reed, era noto per viaggiare a bordo di un carro talmente decorato e imponente da richiedere otto buoi per essere trainato.
Su consiglio Lansford W. Hastings, esperto delle vie percorribili californiane, il Donner Party imboccò una via apparentemente migliore rispetto a quella seguita fino ad allora dagli emigranti. Una rotta che non solo avrebbe fatto risparmiare tempo prezioso prima dell'inverno, ma che avrebbe anche evitati spiacevoli incontri con nativi e messicani.
La scorciatoia di Hastings, tuttavia, si rivelò più ostica del previsto: i 60-80 carri furono costretti ad marciare al ritmo di circa 2 km al giorno, e gli uomini più forti costretti di continuo ad abbattere alberi e a ripulire la pista dalle rocce che ostacolavano l'avanzata del gruppo.
Dopo qualche settimana di viaggio, i viveri iniziarono a scarseggiare. Era ormai settembre, e il Donner Party era in ritardo di oltre un mese sulla tabella di marcia, ma il peggio doveva ancora venire. Superate le Wasatch Mountains, i pionieri si trovarono nel Great Salt Lake Desert, uno dei luoghi più inospitali del pianeta.
Il Great Salt Lake Desert è una distesa salata di 10.000 km quadrati che riceve solo 20 centimetri di pioggia all'anno. Potete bquindi immaginare quali fu il destino dei membri del Donner Party: miraggi, rottura dei carri, disidratazione e animali da soma morti di stenti furono solo alcune delle fatiche sperimentate dai viaggiatori durante i sei giorni di attraversamento del deserto.
Era chiaro a tutti che la scorciatoria di Hastings non era altro che una condanna a morte. Ma non c'era altra scelta: era l'unica strada da seguire, ed era ormai fine settembre.Il Donner Party finì per ritrovarsi in ottobre inoltrato nel bel mezzo delle montagne innevate della Sierra Nevada. Fino alla metà di novembre non ci sarebbe stata possibilità di valicare l'unico passo percorribile, e i pionieri furono costretti ad accamparsi nei pressi di Truckee Lake, luogo in cui si consumò la tragedia che ha reso famoso il Donner Party.
In realtà, all'arrivo a Truckee Lake erano già morte almeno cinque persone, e le cause del decesso furono principalmente il freddo, la malnutrizione e l'affaticamento eccessivo. Tra il dicembre del 1846 e l'aprile del 1847 morirono altri 25 uomini e 9 donne, e per placare la fame i sopravvissuti volsero la loro attenzione verso i cadaveri dei compagni, l'unica fonte di proteine facilmente accessibile per un corpo indebolito dalla fatica, al limite dell'immobilità.
Secondo i resoconti di alcuni dei sopravvissuti, e grazie ai diari redatti ai soccorritori, sappiamo che i membri del Donner Party, trovatisi in assenza di cibo, iniziarono a nutrirsi dei loro animali domestici, inclusi i cani di famiglia e i topi che soggiornavano tra le riserve di grano esaurite.
Uno dei cani, Cash, apparteneva a Virginia Reed Murphy, che affermò: "Mangiammo la testa e le zampe, anche la pelle, mangiammo tutto di quel cane". Uno, il cane di Patrick Breen, pare abbia fatto la stessa fine con il pretesto di aver mangiato la scarpa di un bambino.
"Quando la carne finì, gli emigranti si precipitarono sulle pelli degli animali uccisi. Se lavorate, tagliate a strisce e bollite, formano una densa colla" spiega Kristin Johnson, che ha studiato la vicenda del Donner Party per due decadi. "Scoprirono anche che le ossa, se bollite abbastanza a lungo o arrostite, potevano essere mangiate".
Prima di arrivare agli animali domestici, tuttavia, i membri del Donner Party provarono di tutto: pigne, resina e rami di pino, una veste di pelle di bufalo, animali selvatici, e qualunque altra pianta riuscisse a sopravvivere al gelo dell'inverno.
La situazione era destinata a degenerare velocemente dopo aver ucciso anche i migliori amici dell'uomo. Reed, che tentò di organizzare diverse spedizioni di salvataggio dopo il suo esilio dal gruppo nel precedente settembre, una volta arrivato a Truckee Lake con i soccorsi raccontò di essersi trovato di fronte a capelli, ossa, crani e pezzi di arti semi-consumati, ammucchiati di fronte al fuoco.
Dal corpo di Donner erano stati rimossi cuore e fegato, e braccia e gambe amputate brutalmente. I bimbi avevano i volti ricoperti di sangue, e tentavano disperatamente di addentare la carne dei cadaveri.
L'analisi di oltre 16.000 frammenti di ossa trovati a Truckee Lake indicherebbe che i membri del Donner Party si nutrirono di topi, cani, cervi, conigli, cavalli e bestiame, ma nessuno scheletro umano è stato ritrovato intatto.
"Se le famiglie del Donner Party avessero davvero consumato solo carne e organi interni, come ci si aspetterebbe dal confronto con altri casi di cannibalismo di sopravvivenza, solo i tessuti molli sarebbero stati cotti sul fuoco o bolliti in una pentola" spiega Dixon.
"Stiamo ponendo enfasi sul fatto che le fonti storiche e archeologiche presentano una storia complicata che parla di esseri umani che hanno fatto quanto possibile, incluso mangiare pelle e corde oltre che consumare i loro cani, prima di prendere la decisione disperata di cannibalizzare i cadaveri. Quindi, i resti ossei presenti nel sito indicano la volontà di evitare il cannibalismo...ma non necessariamente l'assenza di questa pratica".
WHAT THE DONNER PARTY ATE IN FINAL DAYS