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A dire il vero, il film di Richard Kelly (sceneggiatore e regista) è casto o, direi piuttosto, castigato, soprattutto se si considera che è uscito nel 2001. Donnie Darko non è un film sull'ossessione, non è un film di fantascienza, ma puro cinema sul tempo e sulle immagini, sembra scorrere disallineato sulla sua fotografia patinata e suggestiva, come se il doppiaggio tradisse una storia diversa.
Protagonista un interessantissimo Jack Gyllenhaal, oscillante tra l'aria irregolare del bravo ragazzo un po' strano e l'improvvisa simmetria selvaggia che la follia e le visioni conferiscono al suo viso. Il film è talmente incentrato sul suo personaggio che stento a riconoscere coprotagonisti - a parte, forse, il curioso 'amico' Frank (James Duvall).
Direi, piuttosto, che la vita si affolla come immagini di ebbrezza allo sguardo del ragazzo, che il tempo stesso lo avvolga nella sua nube d'indistinto, a danno - qua e là - della chiarezza narrativa necessaria. Kelly si è lasciato prendere la mano dal mistero, creando una dimensione mozzafiato di fotografia suggestiva e improvvissi affondamenti nella psiche.
Donnie Darko, tuttavia, è un film ancorato sulla realtà (che il protagonista dovrebbe raggiungere con l'aiuto di una dottoressa) e non rinuncia alla descrizione, sempre così vivida e concreta, di una situazione sociale, quella dell'America provinciale, onesta e, a tratti, toccante, per quanto 'convenzionale'. E, tuttavia, di che realtà si sta parlando?
Mi sembra che Donnie Darko, a differenza di Matrix, per esempio, o anche di American Beauty, fallisca nel tentativo di dare una 'spiegazione' del mondo così come lo si vede e come, in realtà, sarebbe dietro le quinte. La visuale è quella, spezzata, dell'inadeguatezza, dell'individuo dissociato, pronto a seguire un coniglio e ad accettare una fine del mondo senza apocalisse, senza rivelazione.
La psicanalista collabora attivamente a costurire la storia, fa da ponte tra la narrativa e il suo agente. La stessa famiglia di Donnie interviene solo a margine con la demiurga borghese di questa vicenda, senza che si creino mai reali terremoti tra ciò che accade nell'intimo di un personaggio e la vita sociale: non c'è scossa, non c'è terremoto.
Anche quando si scopre che un celebre imbonitore del 'buon senso' e dell'amore - per uno stucchevole quanto ovvio stereotipo - è in realtà un accanito pedopornografo accanito (e non solo), si vede la società organizzarsi, a ridosso di Halloween, in una mascherata a sostegno del mostro contro le 'calunnie' che lo infangherebbero.
Ciò che mi irrita, in questo film, dalla fotografia allucinata e stupenda, in questo film di sguardi, è l'incapacità di liberare le energie, di far scorrere la vita nel presente, piuttosto che nel tempo. Quando accade per Donnie, il ragazzo - forse senza troppa fantasia - opta per una soluzione che recide all'origine il problema tra chi siamo e la realtà attorno a noi, tra la perenne inadeguatezza al nostro oggi e la presa sicura sulla vita.
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