Dopo alluvione, esplode la rabbia

Creato il 07 novembre 2011 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

L’arena condotta da Massimo Giletti apre l’appuntamento di  Domenica In. I riflettori si accendono sull‘alluvione che ha colpito il nord Italia, in particolare la Liguria mettendola in ginocchio, con diverse vittime, dispersi e causando danni irreparabili e ingenti dapprima alle cinque terre e poi al capoluogo . Sui disastri provocati dall’alluvione il conduttore si domanda: “Qualcuno a Genova ha perso la vita, una tragedia annunciata? Di chi è la responsabilità”?

Sul banco degli accusati, in collegamento, il sindaco del capoluogo ligure, Marta Vincenzi, che ha accettato di parlare alle telecamere del programma di intrattenimento domenicale.

Duramente contestata in questi giorni per come ha affrontato l’alluvione, e per come si è prevenuto il disastro. Tra le accuse principali, la decisione di non aver chiuso le scuole il giorno dell’alluvione. I protagonisti raccontano quei monenti difficilissimi:”Ringrazio Dio, che non sono morta, ma ho perso tutto, ho perso il mio negozio, mi rimane il disgusto e la rabbia, il signor sindaco sapeva a cosa si andava incontro, i lavori in passato non sono stati fatti”- “Non siamo stati avvisati del pericolo”. La rabbia è forte, difficilmente contenibile. “Genova piange una famiglia e la responsabilità è solo vostra”.

Accuse pesanti alle quali si tenta di  rispondere con razionalità  con numerosi ospiti in studio, tra i quali il geologo Mario Tozzi e un metereologo. Il sindaco tenta la sua difesa: "L'allarme dato era di tipo due che prevede un messa in sicurezza con una serie di azioni che non prevedono l'evacuazione, ma tavole alle porte, vuol dire che se arrivano acqua e fango si chiudono le scuole, quelle poche nella zona interessate,  l'utilizzo delle normali preacuzioni, non significa non uscire da casa, quello che è successo è qualcosa di  sconvolgente. Abbiamo seguito un protocollo che però non prevede la chiusura di tutte le scuole nè il blocco di tutta la città. Da giovedì abbiamo fatto scattare quanto previsto dall'allerta due. Da oggi allerta due non significa più soltanto quelle azioni di prevenzione per quanto è capitato ma significava dover dire che la città doveva essere tutta chiusa: ciò che è capitato non è più un'allerta due ma un disastro".

"Io credo che indipendentemente da quanto dice la protezione civile noi dobbiamo, in una citta' che abbiamo scoperto essere dopo tanti anni così fragile, sapere che d'ora in avanti con un'allerta due non scattano le previsioni che dice la protezione civile ma scatta la chiusura di tutto perché possiamo deciderlo noi.
Questo significa chiudere anche le strade e non circolare con mezzi privati, sia che il disastro sia stato annunciato o meno, perche' non sapremo se la prossima volta il disastro sarà annunciato".

Dunque a Genova, storicamente provata da disastri passati, con le previsioni che davano l'arrivo di precipitazioni eccezzionali, si è sottovalutato la questione. In un territorio inadatto a sopportare le piogge, qualcosa non ha funzionato. E il violentissimo nubifragio ha portato alle  tragiche conseguenze per la città.

"Io non ho detto che non ho responsabilità,ognuno si assume le sue responsabilità. Dobbiamo capire che nel giro di 15 minuti il Ferreggiano, dove è capitato il massimo del disastro, è passato da nemmeno un metro d'acqua ad oltre quattro metri. Un'alluvione così, con i mezzi di prevenzioni previsti in essere, non è stata possibile né da gestire nè da fermare come sarebbe stato giusto".

La comunicazione è stata carente, non tutti sono stati raggiunti dalle ammonizioni informative e forse anche gli stessi cittadini abituati a convivere con una situazione fortemente a rischio hanno continuato ad agire come d'abitudine. L'urgente pulizia dell'alveo dei fiumi, e una corretta manutenzione dei tombini, non è stata fatta. I finanziamenti hanno tamponato solo marginalmente una situazione resa ancora più difficile dalla continua cementificazione e dalla costruizione ancora più vicino ai torrenti.  Mancano i fondi, ed è la giustificazione più diffusa. Manca anche la cultura della prevenzione che consenta di supportare le grandi stragi .  L'eccezionalità è fuor di dubbio, ma il clima sta cambiando e la prevenzione non può attendere.

Bisogna formare le persone a fronteggiare questi cambiamenti. Ma ci sono anche gli errori di costruzione, ciascuno pensa a sé e al proprio immediato vantaggio e quello che è successo a Genova non è un caso isolato, stiamo vivendo una storia italiana che nessun sceneggiatore poteva ipotizazre e si rende necessario che le istituzioni facciano seriamente il loro dovere, o non ne verremo a capo. Si investe  pochissimo nel risanamento delle frane, nelle briglie, nelle dighe, nella pulizia dei torrenti: eppure è il suolo su cui poggiamo i piedi, la base della nostra vita, non in senso retorico. Si dovrebbe obbligare a prevenire continuamente. Lo Stato che non ha dato risorse. I Comuni non hanno un centesimo da investire.

Se ognuno avesse agito  responsabilmente, forse oggi sarebbe andata diversamente e il sindaco non avrebbe il peso di 7 morti: "Porterò per sempre le vittime di questo disastro sulla coscienza. La responsabilità ce la prendiamo tutti e io per prima".


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